SOCIETÀ

Un Paese anziano e senza figli

Calo della natalità come conseguenza dell’incertezza lavorativa e delle sempre maggiori difficoltà economiche, riduzione dei fondi per le politiche familiari, inadeguati servizi per l’infanzia. L’Italia non è certamente un Paese per famiglie. Nel 2013 si è toccato il minimo storico delle nascite con 514.000 nuovi nati (534.186 nel 2012). Si vive sempre più a lungo ma resta bassa (sempre più bassa) la propensione ad avere figli. Il rapporto annuale dell’Istat fotografa un Paese caratterizzato dal persistere di livelli molto bassi di fecondità: in media 1,42 figli per donna nel 2012 e addirittura 1,39 nel 2013, con la media Ue28 che, nel 2012, era 1,58. Un divario importante. In particolare, se i figli nati da entrambi i genitori italiani sono diminuiti di oltre 76.000 in 5 anni, quelli con almeno un genitore straniero hanno continuato ad aumentare fino al 2012, seppure a un ritmo di crescita sempre più contenuto. Ma il 2013 rileva, invece, per la prima volta una diminuzione anche dei nati stranieri. 

Pochi bambini, molti anziani. Resta bassa la propensione ad avere figli, ma si vive sempre più a lungo. Nel 2012 la speranza di vita alla nascita è giunta a 79,6 anni per gli uomini – segnala l’Istat - e a 84,4 anni per le donne (rispettivamente superiore di 2,1 anni e 1,3 anni alla media europea del 2012).

Siamo ai primi posti al mondo per indice di vecchiaia: al 1° gennaio 2013 nella popolazione residente si contavano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei ci supera solo la Germania (158), mentre la media Ue28 è pari 116,6. 

Una numerosa popolazione anziana, che costa. Nel 2012 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, pari a circa 271 miliardi di euro, è aumentata dell’1,8% rispetto al 2011 e la sua incidenza sul Pil è cresciuta di 0,45 punti percentuali (dal 16,83% del 2011 al 17,28% del 2012). Le pensioni di vecchiaia assorbono, inoltre, il 71,8% della spesa pensionistica totale. 

Non aspettiamoci cambiamenti nel prossimo futuro: le previsioni demografiche confermano la tendenza all’invecchiamento. Al Sud, nel 2041, la proporzione di ultrasessantacinquenni per 100 giovani con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata rispetto al 2011, aumentando in maniera significativa, da 123 a 278. Nello stesso periodo al Centro Nord l’indice di vecchiaia passerà da 159 a 242.

La buona notizia è che si vive di più, ma se si fanno meno figli come si può pensare di investire nel futuro? A complicare le cose si mettono anche gli espatri: sempre più giovani se ne vanno e, quindi, sempre più spesso fanno progetti e mettono su famiglia all’estero. Sono stati 29.000 i rientri dall’estero nel 2012, duemila in meno rispetto all’anno precedente; al contrario, sono aumentati i trasferimenti all’estero con 68.000 emigrati italiani, il numero più alto degli ultimi dieci anni, cresciuto del 35,8% rispetto al 2011. 

Tornando ai figli e, quindi, alle nuove generazioni, una lettura del trend negativo la dà Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia all’università di Padova. “La verità è che la bassa fecondità in Italia ha una lunga storia. Il cosiddetto livello di sostituzione, ovvero i due figli per donna, in Italia è stato abbandonato a partire dagli anni Settanta. L’Italia è un Paese a bassa fecondità da decenni e le ragioni sono profonde e legate al grande senso di responsabilità dei genitori nei confronti dei figli da mettere al mondo: in una società dalla struttura forte come quella italiana, ma anche in Spagna o in Giappone, i genitori si muovono con prudenza: un figlio cercano di averlo tutti, qualcuno pensa anche al secondo, ma il terzo è visto come una impresa insormontabile. E proprio in società di questo tipo ci si trova di fronte a politiche familiari poco generose. Sembra paradossale, ma i Paesi ‘più familiari’ sono quelli meno amichevoli dal punto di vista fiscale rispetto alle famiglie con figli”. E Dalla Zuanna precisa: “La crisi, poi, ha certamente accentuato il fenomeno e ha favorito il ritardo della fecondità. Si aspetta ad avere figli perché le condizioni lavorative non sono quasi mai stabili. E con il recente rinvio del bonus è stata dimostrata ancora una volta la difficoltà culturale dell’Italia nel costruire un sistema fiscale redistributivo che tenga conto dei bambini con più fratelli. Perché il problema non sono solo i genitori con più figli, ma anche e soprattutto i bambini con tanti fratelli: sono penalizzati, hanno meno risorse e possibilità”.

Non si trova lavoro, le famiglie diventano i principali ammortizzatori sociali e si ricompattano a causa della crisi, con il rientro dei figli nei nuclei genitoriali dopo separazioni, divorzi, emancipazioni non riuscite o con la coabitazione con parenti. Se si trova impiego e si pensa alla possibilità di “metter su famiglia’, ecco che spuntano le difficoltà nel conciliare tempi di lavoro e di vita, discorso questo che vale principalmente per le donne. Crisi e paure, sostegni e servizi insufficienti. 

Sul fronte delle politiche familiari, in Europa, si trovano casi eccellenti. A partire dallo storico modello francese che, memore delle grandi paure demografiche di fine Ottocento, affonda le sue radici nel Codice della famiglia del 1939 e non ha mai smesso di supportare le madri, attraverso sgravi fiscali e agevolazioni e “funziona – sottolinea Dalla Zuanna - perché assicura servizi, quali per esempio gli asili nido, e un aiuto concreto alle madri (con sussidi speciali anche per l’assunzione di una assistante maternelle, ndr), che vengono accompagnate, ben informate sui loro diritti e sostenute fin dall’inizio della gravidanza”. Per quel che riguarda gli assegni familiari, ogni Paese europeo segue politiche diverse. In Italia tutto dipende dal reddito e gli assegni vengono concessi se i genitori sono lavoratori dipendenti (almeno il 70% del reddito familiare deve essere da lavoro dipendente) e ai coltivatori diretti. Una partita iva è esclusa. Agli assegni, inoltre, si aggiungono alcuni sostegni e agevolazioni che variano da comune a comune. In Francia, invece, viene assicurato un bonus a partire dal secondo figlio indipendentemente da reddito e contratto. Un assegno mensile uguale per tutti di circa 130 euro per due figli. Così in Germania, dove esiste il generoso Kindergeld già dal primo figlio.

Secondo uno studio dell’European centre for social welfare policy and research “politiche orientate all’occupazione, alle pari opportunità e al sostegno di cura sembrano più adatte all’incremento della fertilità”. E invece l’Italia, dove i figli so’ pezzi e’ core, ricopre oggi (sempre secondo il rapporto Istat 2014, che riporta la spesa sociale per il 2011) “la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento, che si mantiene sostanzialmente stabile dal 2008, ammonta al 4,8 per cento della spesa”. La Francia raggiunge l’8,2%, la Bulgaria l’11, la Finlandia l’11,2%, l’Ungheria e la Danimarca raggiungono il 12,5%, ma lo sforzo maggiore per sostenere famiglia, maternità e infanzia lo fa il Lussemburgo con il 16,5%, mentre nei Paesi Bassi, con il 4%, si registra la percentuale più bassa.

Francesca Boccaletto

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