UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università, la raffinata arte delle critiche senza proposte

Come giudicare quel comandante che, mentre la nave imbarca acqua, si piazza al centro del ponte principale e inizia a descrivere minuziosamente ai marinai i difetti strutturali dello scafo, la scarsa qualità dei materiali, e insomma come sia tecnicamente impossibile che il mezzo rimanga a galla? Pier Luigi Celli, uomo dalle molteplici esperienze da altissimo dirigente in aziende pubbliche e private (tra le quali Rai, Eni, Unicredito), aveva già interpretato questo ruolo nel 2009 quando, da direttore generale in carica dell'università Luiss di Roma, aveva pubblicato su un grande quotidiano una lettera accorata in cui esortava il figlio a lasciare l'Italia, paese "di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica".

Non pago delle critiche suscitate dal suo intervento (Montezemolo sottolineò come non si aspettasse parole simili dal manager dell'università di Confindustria), Celli ha recentemente rincarato la dose, tornando a far fuoco sull'Italia corrotta e non meritocratica, ma aggiustando il tiro, stavolta, contro il mondo accademico. Alma matrigna (Imprimatur, 2013) è un succedersi di riflessioni, idee, fantasie in cui l'autore ripercorre gli anni al vertice della Luiss (2005-2013): un fioccare di giudizi e amare constatazioni sul sistema universitario italiano (L'università del disincanto è il sottotitolo del libro). Un atto d'accusa argomentato e senza appello, che ci aspetteremmo però da un brillante ricercatore pluribocciato ai concorsi, e non da uno dei più illustri esponenti dell'establishment nazionale e, soprattutto, ex direttore generale (per otto anni, non otto mesi!) di uno tra i più importanti ed elitari atenei privati del nostro paese.

Celli racconta la sua esperienza come quella di un riformatore di belle speranze, che si imbatte in un mondo di lupi: "Ho cominciato a lavorare come se l’università fosse un’azienda che doveva funzionare al meglio, creden­do che la sua missione fosse meno quella di distribu­ire lauree che perseguire il compito di formare perso­ne in grado di saper navigare bene nella vita". E invece l'homo novus impatta contro un sistema di baronie spietate, giochi politici, nefandezze sulla pelle degli studenti: ma, con tenacia ammirevole, l'autore decide di non fuggire, ma resiste per novantasei mesi nelle bolge accademiche.

Alma matrigna diventa così, per l'appunto, un percorso dantesco, un susseguirsi di considerazioni sull'università che echeggiano i più intransigenti detrattori del nostro sistema di istruzione superiore, e non è facile scegliere tra i plurimi giudizi tranchant del marziano a Roma: "Il mondo abitato dai professori è quasi sempre così autoreferenziale che la percezione di essere estranei a quello che avviene nella realtà quotidiana non li sfiora. La maggior parte non ha alcuna esperienza di vita di lavoro effettivo". Oppure: gli studenti sono "un ‘di cui’ quasi irrilevante di ogni operazione di architettura disciplinare e bu­rocratica, costruita prevalentemente per regolare le tutele e i diritti del corpo accademico".

Certo, accanto alle invettive c'è anche la parte propositiva. Il libro si conclude con un decalogo rivolto agli studenti, un manuale di sopravvivenza in un mondo tanto ostile: tra i precetti, spiccano "lo studio va alternato al tempo libero" e "sorridete, se potete". È un vero peccato che un uomo dell'esperienza di Celli non riesca mai, nel testo, a oltrepassare considerazioni generiche e fumosi consigli: nei rari casi in cui questo avviene, emergono suggerimenti non banali, per quanto a volte provocatori (un esempio: la previsione di tirocini periodici per i docenti, in modo da non perdere mai il contatto con il mondo delle professioni).

Alma matrigna lascia quindi al lettore la perplessità che deriva da un attacco al sistema che, anziché dall'esterno, proviene da chi della classe dirigente è esponente per eccellenza. Un'incoerenza che aver pesato un po' se lo stesso Celli, intervistato di recente, ammette di aver cambiato idea sull'opportunità che i giovani restino in Italia: "Ora c'è più sensibilità verso il futuro dei ragazzi, anche se il 40% è senza lavoro" (un dato che nella realtà è molto diverso). La virata a 180 gradi di Celli è dettata forse da quella che, nella stessa intervista, l'ex direttore della Luiss riconosce come "la prova che i ragazzi ce la possono fare anche in Italia": il figlio destinatario della famosa lettera, Mattia Celli, oggi è un manager affermato, e lavora in Italia.

Una posizione, quella dei membri dell'élite che non comprendono la difficoltà dei giovani a trovare occupazione, cara a molti (da ultimo John Elkann: "certo, io sono stato fortunato ad avere molte opportunità, ma quando le ho viste ho saputo anche coglierle"). La sintesi suprema è nell'aforisma di Natalino Balasso: i giovani, in fondo, non trovano lavoro perché nessuno gli regala una fabbrica.

Martino Periti

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