UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università telematiche: fine del Far West?

Undici soggetti che rilasciano titoli con pieno valore giuridico, equiparati ad atenei non statali legalmente riconosciuti: sono le università telematiche italiane, comparse nel nostro ordinamento alla fine del 2002, proliferate e, infine, bloccate dalle più recenti norme ministeriali, che hanno vietato di istituirne di nuove fino al 2015/2016.  Un microcosmo composto da entità molto diverse per dimensioni e importanza, ma accomunate da un verdetto: quello, plumbeo, della commissione ad hoc creata dal Miur.

L'organo ministeriale ha concluso i suoi lavori con una relazione che non lascia dubbi: così com'è, il sistema degli atenei online nel nostro Paese non può andare avanti, e richiede una riforma radicale. La fortuna delle università telematiche è riassunta dalla relazione del Miur in un passaggio: il numero "bassissimo" di iscritti e di laureati è "drammaticamente calato" dopo il 2010, ossia dopo l'approvazione della legge che ha ridotto da 60 a 12 il numero di crediti formativi che gli atenei possono riconoscere sulla base delle singole esperienze professionali (le famose convenzioni che soprattutto all'inizio, quando il numero massimo di crediti ottenibili non era neppure definito, hanno consentito troppe lauree facili).

E in effetti, andando ad approfondire l'impatto degli atenei telematici sulla platea studentesca, si notano enormi squilibri: se, secondo i dati dell'anagrafe studenti del Miur al 2012/2013 (ancora provvisori) l'Università Guglielmo Marconi contava 15.634 iscritti e Unicusano ne raggiungeva 11.327, molti atenei online non superavano poche centinaia di studenti. Quanto ai laureati, nel 2011/2012 in almeno quattro sedi di università telematiche non hanno raggiunto il centinaio. Ma è sulle nuove immatricolazioni (anno 2012/2013) il segnale più significativo. Rispetto alle 694 della capofila Unicusano, tre atenei dichiarano un numero di nuovi iscritti variabile tra 19 e 27: e alcuni corsi di laurea, regolarmente attivati, contano al primo anno 4 o 5 studenti.

Secondo i dati riportati dalla relazione e relativi al 2011/2012, il numero complessivo di iscritti negli atenei telematici era di 39.812: a questo totale (che, come si è visto, contiene fortissimi squilibri tra le varie sedi) si contrappone quello dei laureati nello stesso anno, appena 3.264 (contando però anche chi ha terminato una laurea di secondo livello) e dei nuovi immatricolati, 4.441. Un rapporto bassissimo, che non può evitare la sensazione di atenei-parcheggio, nei quali un numero troppo limitato di studenti riesce a conseguire il titolo in tempi ragionevoli.

Del resto, la relazione del ministero va ben oltre le semplici considerazioni numeriche. Non può non fare effetto il computo dei corsi di laurea di nuova attivazione proposti dagli atenei online per l'anno 2013/2014 e bocciati dalla valutazione dell'Anvur:  su un totale di 49 richiesti, 47 hanno ricevuto parere negativo. Dinieghi di accreditamento che poi spesso vengono superati, spiega la relazione, per via giudiziaria: molti nuovi corsi vengono istituiti grazie a vittoriosi ricorsi al Tar. Una totale difformità tra valutazioni qualitative e legittimità giuridica che si spiega con la vaghezza delle norme che presiedono all'organizzazione, le attività di didattica e ricerca, le politiche del personale degli atenei telematici: secondo la relazione, una "convulsa produzione legislativa" della quale la commissione ha sottolineato i moltissimi punti critici. Mancano, secondo il Miur, criteri certi e uniformi per la valutazione dell'offerta formativa, l'istituzione di corsi di laurea e scuole di dottorato; l'attività di ricerca non è regolamentata né per il suo svolgimento né riguardo alla valutazione; mancano regole per il reclutamento dei docenti (lo scarso numero di professori e ricercatori è uno dei problemi più spinosi).

La relazione riporta anche le proposte del Consiglio universitario nazionale, che richiede cambiamenti davvero capitali: esclusione di alcune tipologie di corsi tra quelli impartibili a distanza; introduzione dell'obbligo di svolgere attività di ricerca; verifica sulla preparazione dei laureati; divieto di svolgere esami di Stato presso le università telematiche. Il tutto, sperabilmente, armonizzato in uno specifico sistema di valutazione ad hoc che preveda controlli a cadenza annuale.

Intanto, i contributi statali iniziano ad arrivare anche alle università online, le quali, per legge, possono accedervi una volta conclusa la verifica periodica che un altro organismo, il Cnvsu, effettua sui risultati conseguiti: grazie all'ok di questo comitato, nel 2012 i primi due atenei online a ottenere il via libera (Marconi e Uninettuno) hanno ricevuto 2 milioni 400mila euro. Nel 2013 invece i "telematici" ammessi ai fondi sono stati ben sette, per un totale di 1 milione 675mila euro ottenuti. E la riduzione, rispetto all'importo dell'anno prima, non c'entra nulla con una maggiore severità di giudizio: è solo in linea con il taglio del fondo complessivo destinato a tutti gli atenei non statali legalmente riconosciuti, passato dai quasi 90 milioni del 2012 ai 68,5 del 2013.

Dopo la diffusione della relazione, il ministero ha annunciato l'avvio di una politica più rigorosa nei confronti degli atenei a distanza. Una maggiore selettività non potrà che giovare all'immagine e alla qualità di un sistema che presenta, oggi, troppi lati oscuri.

Martino Periti

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