CULTURA

Voce del verbo “noi pensiamo”: l'umanesimo scientifico di Bruno Latour

Bruno Latour è sociologo, antropologo e filosofo della scienza, nonché docente a Sciences Po, scienze politiche, a Parigi. E nel suo Cogitamus Sei lettere sull’umanesimo scientifico emergono tutta la sensibilità, l’ironia e l’intelligenza che gli vengono dalle mille sfaccettature del suo percorso. Già l’aver scelto di scrivere il libro in forma di lettera ci dà prova dello spirito di questo eclettico intellettuale-scienziato: la lettera risulta la forma di scrittura più adatta per rivolgersi direttamente, o quasi, all’attenzione delle persone che si vorrebbe ascoltassero, e per sottolineare la natura dialogica del pensiero. 

Vengono in mente, con un libro in forma di lettere fra le mani, le Tre ghinee di Virginia Woolf, nel quale la scrittrice affida alle lettere che immagina di scrivere ad un uomo potente le sue riflessioni sulla condizione della donna e sulla tragedia incombente del secondo conflitto mondiale. Le missive di Latour invece sono rivolte a una giovane studentessa incuriosita dal corso universitario tenuto dal docente, per il quale ha scelto – quasi un manifesto del suo pensiero - il nome di umanesimo scientifico. Per spiegare questa definizione, e per riassumere le molte e diverse questioni che affronta a lezione, Latour si lancia in un appassionante racconto che vede come protagonisti l’uomo e la scienza. O meglio, gli uomini, e la scienza come attività collettiva

Scopriamo grazie a questo libro anche un interessante metodo di insegnamento universitario: l'autore consiglia ai suoi studenti di tenere un “diario di bordo” che raccolga articoli, documenti, informazioni di vario genere sulle questioni di attualità, di argomento politico, scientifico, economico, sociale, ambientale, culturale, interessanti per il corso e per l’orientamento che ogni studente decide di seguire. Chi conosce un solo argomento, non conosce davvero neppure quello, sembra dirci. Latour ama e reputa feconde le commistioni in ogni loro manifestazione, lui stesso nel libro mette assieme scienza, arte, letteratura, filosofia, cinema, storia perché si influenzino e si ispirino a vicenda. La multimedialità che lega tutte queste discipline trova espressione, simbolica prima ancora che materiale, nelle piattaforme del web, i mezzi attraverso i quali egli si augura che possa essere conosciuto e diffuso il suo umanesimo scientifico. 

Le scienze e le tecniche, questo è il principio al cuore del libro, fanno parte della vita umana più di quanto noi ci si renda effettivamente conto. Non sono quelle realtà astratte, fredde, separate dal mondo in un luogo lontano che immaginiamo. L’umanesimo scientifico vuole rendere nuovamente evidente il loro essere umane, perché la nostra civiltà è da sempre vissuta assieme alla scienza e alla tecnica, a quelle che gli antichi greci chiamavano techne ed episteme. Ma non sempre l’uomo è stato consapevole di questo legame, e Latour vuole insegnare soprattutto un approccio inedito alle scienze, che le possa finalmente riavvicinare alle vicende umane. 

E vicenda umana per eccellenza è senza dubbio è la politica: Hannah Arendt sosteneva che è nello spazio pubblico che possono essere condivise azioni e discorsi, le uniche e sole facoltà che definiscono la natura dell’uomo. Per questo motivo, la scienza diventa anche, e forse soprattutto, una questione politica. Perché riguarda l’esistenza e il destino degli esseri umani. Certo, la scienza ha prodotto mostruosità come la bomba atomica, ma sono gli uomini, con le loro scelte, che le hanno permesse. Latour ci ricorda che secondo Plutarco la scienza è sublime, spregevoli sono solo le sue applicazioni. Essa non deve essere né politicizzata, né protetta e isolata dallo spazio pubblico: non deve diventare strumento di una parte, ma soprattutto non deve ignorare le comunità umane arroccandosi in una dimensione privilegiata e sorda alle voci del mondo. È necessario un ripensamento di questi due aspetti così essenziali dell'esperienza umana. Scienza e politica camminano assieme, e per acquisire questa consapevolezza l’unico modo sembra essere quello di imparare a pensare assieme

“Cogitamus”: non "penso" ma "pensiamo", con il pronome noi. “Cogito o cogitamus, bisogna scegliere: questo è il senso del mio corso” scrive Bruno Latour. “Cogitamus” vuol dire che ogni individuo può comprendere, con l’aiuto degli altri, che la società di cui fa parte può e deve convivere con la scienza, se solo ognuno di noi impara a pensare non come elemento isolato di una massa indistinta e anonima ma come componente consapevole e attivo, che capisce l’importanza di questa intesa. 

Pensare assieme per riuscire ad agire collettivamente: è questo, per Latour, il significato profondo del messaggio dell’umanesimo scientifico. Scienza e società, scienza e politica, ma anche scienza e scienza devono operare di concerto per migliorare le conoscenze e la vita sulla terra. È necessario che avvenga una nuova rivoluzione - un termine scientifico ma anche guerriero, dal momento che prima di approdare all’ambito della scienze e delle tecniche apparteneva alla sfera delle lotte e delle battaglie. Perché infine è anche di una battaglia che si parla, nel libro: una battaglia pacifica e pacata che si combatte, e che l’autore conduce dal canto suo con la pagina scritta, in favore dell’unione e, perché no, della solidarietà fra le varie attività - scientifiche, culturali, politiche, sociali - delle comunità umane. 

Latour propone l'immagine del “laboratorio” come la più adatta a restituire la complessità e la profondità delle connessioni che intercorrono nel nostro mondo. È una cosmopolitica quella di cui ci parla: un insieme di mondi, di cosmi, di diversità attivamente interconnesse. E la scommessa dell’umanesimo scientifico è proprio quella di dedurre e sviluppare queste complicate e infinite composizioni del mondo e degli esseri che lo abitano, conoscenza affidata al “cogitamus” e non ad un indifferente cogito solitario. Perché oggi l’uomo ha capito che il cosmo, che nell’antichità si pensava ci contenesse e ci proteggesse dentro la sua sfera, chiuso dalla volta del cielo e compreso anche dalla poesia, è diventato nel corso dei secoli un universo infinito e muto, oggetto soltanto di fredde indagini scientifiche e di malinconia. L’umanesimo scientifico vuole insegnarci che questo universo spesso oscuro, grazie all’unione delle attività e dei prodotti umani, può di nuovo schiudersi e parlare sia alla poesia che alla scienza, se esse sapranno convivere e sostenersi; e potrà allora tornare ad essere un cosmo, e ritrovare la sua vocazione a custodirci.

Melissa Corona 

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