UNIVERSITÀ E SCUOLA

Corsi post-lauream: una questione di mercato

È questione di mercato, di domanda e offerta; di fornire i servizi richiesti a un prezzo equo e di possedere la giusta immagine. Non è la strategia marketing di una multinazionale, ma la situazione del mercato mondiale dei corsi post-lauream. O almeno questo è il quadro che esce dall’indagine condotta dalla QS, azienda leader nei ranking universitari, che ha raccolto le opinioni di 7.150 di potenziali  studenti provenienti da più di 150 nazioni diverse e alla ricerca della giusta università dove proseguire i propri studi, con un master (circa l’87%), un dottorato (il 21%) o entrambi (8%). E i risultati non sembrano poi così scontati.

Il futuro studente post-lauream intervistato in media ha 26 anni (24 nell’Europa dell’est e in Asia, 25 nell’Europa occidentale) e una buona possibilità (40%) di essere asiatico, in particolare indiano. A rispondere all’indagine QS sono stati però anche molti europei (italiani, greci e inglesi), ragazzi provenienti da diversi stati africani, brasiliani e statunitensi. 

Anche se la possibilità di vedere riconosciuto il titolo di studio che si andrà ad acquisire condiziona la scelta, la disponibilità di borse di studio e la spendibilità del titolo nel mondo del lavoro sono le motivazioni che negli ultimi tempi hanno registrato il maggiore incremento. Non a caso, quindi, accanto a mete consolidate come Stati Uniti e Regno Unito, sta emergendo la Germania, nazione dotata di una economia robusta e corsi universitari a costi accessibili. In calo, invece, l’interesse verso le vicine Francia e Spagna, che rappresentavano fino a poco fa le principali alternative europee al Regno Unito, grazie soprattutto al costo più accessibile degli studi e della vita. Ma crescono in popolarità anche le nazioni nordeuropee, dotate di buoni schemi per il diritto allo studio, appetibili anche per gli asiatici, che stanno invece perdendo interesse verso le mete più vicine, come India, Malesia e Singapore. 

C’è una buona porzione di studenti che sceglie la nazione di destinazione per la sua attrattiva culturale e per lo stile di vita: neanche a dirlo, l’Italia ricade proprio in questo caso, in compagnia di Spagna e buona parte del Sudamerica. Chi privilegia il riconoscimento internazionale del titolo di studio (sono soprattutto asiatici e cittadini dell’Europa occidentale) si rivolge invece soprattutto ai paesi anglosassoni, Australia e Sudafrica inclusi, mentre chi mette al primo posto l’urgenza di ottenere un aiuto economico (è il caso soprattutto di africani e mediorientali) volge il proprio sguardo verso Asia, Europa orientale e settentrionale.

Considerata la percentuale molto alta di chi opta per un master, non stupisce che i corsi con maggiore appeal siano quelli legati al mondo del business, della finanza e dell’economia, ma negli ultimi cinque anni è soprattutto l’area tecnica e scientifica, con informatica e ingegneria ai primi posti, a guadagnare posizioni nella classifica delle materie più quotate. QS individua il motivo nella diffusa consapevolezza di una domanda  globale, nel mondo del lavoro, di specialisti Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), nell’innalzamento del profilo di carriere correlate al mondo dell’informatica e, non da ultimo, nell’impatto di piani nazionali che incoraggiano i giovani a intraprendere studi tecnici e ingegneristici. Se, dunque, gli aspiranti dottori magistrali sono guidati dalla possibilità di una carriera di alto profilo, anche i dottori di ricerca sembrano spinti da motivazioni analoghe, anche se una buona fetta del “gruppo PhD” quella carriera la cerca nel mondo accademico. Ma questo non sorprende. Quello che colpisce è che, in risposta al perché si scelga un determinato campo di studi, stia assumendo sempre meno importanza la voce “per interesse personale”, nonostante rimanga  fra quelle principali. In tempo di incertezza economica, insomma, le inclinazioni personali si mettono da parte per cercare una specializzazione spendibile nel mondo del lavoro.

Certo, chi sceglie dove studiare non può limitarsi a eleggere una nazione, ma deve anche e soprattutto decidere in quale istituto universitario farlo. Se infatti sono meno di 200 gli stati al mondo,  l’Unesco stima che ci siano almeno 16.000 università diverse fra cui scegliere: cosa spinge dunque a optare per una in particolare? Su questo punto la risposta di aspiranti dottori magistrali e futuri dottori di ricerca differisce leggermente, anche in relazione alla loro provenienza. In generale ciò che conta maggiormente è la reputazione dell’istituzione per quanto riguarda la materia d’interesse (come giurisprudenza ad Harvard, ingegneria al MIT, economia alla London School of Economics). In Europa occidentale i futuri “master” considereranno poi la possibilità che l’università scelta abbia uno sbocco diretto sul mondo del lavoro; statunitensi e canadesi daranno importanza anche la posizione geografica dell’università; per gli africani conterà invece maggiormente la reputazione dell’istituto nel suo complesso. Rispetto ai colleghi dei master, gli aspiranti PhD  guarderanno con maggiore attenzione alla disponibilità di borse di studio, mentre conterà solo relativamente la posizione geografica dell’Ateneo.

Tutti questi dati, i numeri, le percentuali, le interviste, le tabelle, i grafici vorrebbero diventare uno strumento operativo per i “reclutatori” nel campo dell’educazione universitaria. “Allinea la tua istituzione con la  domanda d’impiego, … mettine in luce il prestigio, … vendi bene il luogo in cui si trova, a livello locale e nazionale, … fai capire che il suo costo è accessibile”: nelle raccomandazioni di QS c’è parecchio buon senso. Ma non tutto è così scontato, e i giochi sembrano ancora aperti. In attesa della prossima classifica.

Chiara Mezzalira

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