SCIENZA E RICERCA
"Eureka!". La scienza tra analisi e intuizione
Dicono che Archimede nel momento in cui scoprì (o immaginò?) le leggi dell’idrostatica abbia gridato Eureka!, salutando così l’improvvisa e felice intuizione. Non sappiamo se sia andata davvero così. Se davvero il grande matematico e fisico siracusano abbia avuto davvero il suo “momento ah!” o se le sue leggi siano state il frutto di una rigorosa analisi. Tuttavia il tema della “illuminazione” è rimasto sul tappeto: può uno scienziato intuire la soluzione di un problema o c’è spazio solo per la derivazione analitica?
Molti anni dopo un altro grande matematico, il francese Jacques Hadamard, in un libro pubblicato negli anni ’40 del secolo scorso e poi tradotto in italiano con il titolo Psicologia dell’invenzione in campo matematico, affronta il problema dell’”illuminazione” e risponde in maniera spiazzante alla domanda. Ci sono due modi per cogliere la verità matematica: quello intuitivo e quello analitico. Ma anche all’inizio di ogni processo analitico c’è un’intuizione. C’è, gridato o meno, un «Eureka!».
Ora la leggenda di Archimede e la ricerca di Hadamard hanno trovato se non una spiegazione almeno una conferma empirica. In un articolo pubblicato sulla rivista Thinking & Reasoning cinque ricercatori, l’italiana Carola Salvi, una postdoc della Northwestern University, ed Emanuela Bricolo dell’università Bicocca di Milano, e tre ricercatori americani, tra cui John Kounios, docente di psicologia alla Drexel University, hanno reso pubblici i risultati di una ricerca, articolati in quattro stadi, che sembra proprio dimostrare che il momento Eureka! Non solo esiste. Ma funziona. E funziona persino meglio del processo analitico.
L’équipe ha sottoposto a un discreto insieme di studenti un po’ di rompicapi, come rebus e anagrammi. Ogni studente aveva un tempo determinato (15 o 16 secondi) per rispondere, dopo di che è stato chiesto loro di dire se erano arrivati alla risposta in maniera improvvisa, con un’intuizione, o passo passo, attraverso un procedimento analitico.
C’è anche un modo oggettivo di distinguere tra una intuizione dichiarata e un processo analitico. Basta osservare il cervello di chi risponde con un elettroencefalogramma (EEG) o con una risonanza magnetica nucleare funzionale (fNMR). Studi precedenti hanno dimostrato che appena prima di un’intuizione la corteccia occipitale, responsabile dei processi di visione, si “spegne”, diventa “cieca” in modo che l’idea possa passare nello stato di coscienza.
Ebbene, gli esperimenti condotti dall’équipe italo-americana sono stati quattro: uno di tipo linguistico, uno di tipo visuale e due di tipo sia linguistico che visuale. Due esperimenti sono stati realizzati negli Stati Uniti, in inglese, e due in Italia, in lingua italiana.
Nel primo, quello linguistico, a 38 studenti occorreva trovare la parola giusta. Per esempio trovare il modo giusto di leggere owls (risposta giusta slow). I test erano quattro. In un altro test, cui si sono sottoposti 110 studenti di Milano Bicocca, occorreva risolvere un rebus. In un altro bisognava aggettivare la scritta “L U N a” (la soluzione è “luna calante”).
In breve, nel complesso ha trovato la giusta soluzione il 94% di coloro che hanno dichiarato di aver intuito la risposta e solo il 78% di coloro che hanno seguito un percorso analitico.
Questi risultati non danno ragione ad Hadamard e alla sua teoria secondo cui tutti gli atti creativi hanno necessariamente, al loro inizio, un’intuizione. Ma sembrano dimostrare che l’intuizione non solo gioca un ruolo nella manifestazione della nostra capacità di risolvere problemi – linguistici o visuali che siano –, ma che questo ruolo è più efficiente, in media, di quello analitico.
Gli autori della ricerca avanzano anche una spiegazione. L’intuizione ha una maggiore accuratezza ed efficacia perché emerge alla coscienza in una modalità tutto-o-niente solo quando il solving problem process, il processo di soluzione del problema, è stato portato a termine a livello inconscio. Mentre il processo analitico è, per così dire, sempre in mostra: ovvero è presente alla coscienza anche quando viene terminato prematuramente. Questa spiegazione si fonda sul fatto che, nel corso dei quattro esperimenti, coloro che hanno fornito una risposta di tipo analitico hanno commesso più errori effettivi che omissioni, rispetto agli intuitivi.
Insomma, è probabile che Archimede sia giunto al suo Eureka! con un’improvvisa intuizione. In alternativa c’è da credere che abbia avuto un bagno lungo e rilassante, nel corso del quale ha potuto portare a termine con tutta serenità un’analisi rigorosa ma necessariamente più lenta.
Pietro Greco