UNIVERSITÀ E SCUOLA

Ffo 2015, il Miur accelera su costi standard e competizione

Chissà se qualcosa sta davvero cambiando nei rapporti tra governo e atenei. Certo, l’attribuzione delle risorse del Fondo di finanziamento ordinario con sei mesi di anticipo rispetto alla prassi del passato (il decreto del ministro Giannini reca la data dell’8 giugno) è un segnale molto positivo, ma da solo non basta. Di sicuro una tendenza appare non più reversibile: l’Università sembra realmente candidata a essere il primo settore del pubblico impiego interamente finanziato in base a parametri di merito. Dei 6 miliardi 923 milioni di cui consta l’Ffo 2015, oltre un terzo viene ormai assegnato con criteri competitivi, tramite la combinazione di due fattori che, a lungo termine, diverranno gli unici adottati: la quota premiale, che incentiva il raggiungimento di risultati d’eccellenza secondo canoni predeterminati dal ministero, e il costo standard, che rappresenta la ”giusta spesa” che ciascun ateneo deve sostenere per i propri studenti in base al numero degli iscritti e a quello dei docenti. Questa seconda voce (circa un miliardo e 200 milioni) incide ormai per un quarto sulla quota base, quella che un tempo era detta “storica” perché erogata esclusivamente replicando le assegnazioni degli anni precedenti, che a loro volta si modellavano essenzialmente sul numero degli iscritti. Andiamo perciò verso un modello di finanziamento in cui ogni ateneo correrà sempre più in solitaria, dovendo conquistarsi ogni centesimo prevalendo sulle università concorrenti: o perché ottiene risultati migliori (quota premiale) o perché dimostra di spendere le proprie risorse con maggiore oculatezza (costo standard). La Conferenza dei rettori italiani ha preso atto di questo processo modulando le proprie reazioni: se ha accettato il principio della premialità, è vero però che continua a mettere in guardia dalla costante diminuzione delle risorse complessive (anche quest’anno un taglio, pari all’1,25%) ed esprime il timore che un regime troppo competitivo possa penalizzare gli atenei del Sud. Ma anche su questo fronte il Miur tira dritto, e se da un lato lascia una rete di salvataggio prevedendo che nessun ateneo possa, nell’erogazione 2015, vedere una decurtazione del proprio ammontare superiore al 2%, dall’altro rifiuta di fissare un tetto massimo di incremento per gli atenei maggiormente in regola con i requisiti richiesti.

Nel testo finale del decreto si nota come il ministero abbia però ascoltato alcune voci critiche in merito ai criteri premiali, modificando (rispetto alla bozza iniziale) alcuni parametri quantitativi: per la quota premiale, ad esempio, se la fetta maggiore deriva sempre dai risultati della Valutazione Anvur della qualità della ricerca (65%) e dalla produzione scientifica dei docenti assunti (20%), è stato valorizzato l’impatto internazionale della didattica (elevato dal 3 al 7% per criteri quali il numero di studenti Erasmus e i crediti acquisiti all’estero), mentre si è ridimensionata la voce “regolarità degli studi” (ridotta dal 12 all’8%: tiene conto degli studenti in corso che acquisiscono almeno 20 crediti annui). Confermati, invece, gli oltre 171 milioni per la chiamata di professori associati, i 10 milioni per incentivare l’assunzione di docenti esterni (cofinanziabile dal ministero al 50 o al 95%), i 6,5 milioni per il sostegno agli studenti disabili e dislessici. Nessun ripensamento (anzi, un taglio ulteriore) sulla sforbiciata per le borse post lauream, che per il 2015 ottengono poco meno di 123 milioni, dei quali non più del 10% potrà essere destinato ad assegni di ricerca; una riduzione davvero drastica (l’anno scorso la voce ammontava a 148 milioni) cui si accompagna un fortissimo aumento della differenza tra il massimo aumento (5%) e il massimo decremento (22%) dei fondi che ogni ateneo potrà conseguire per le borse rispetto al 2014. Un intervallo che per ogni ateneo significa che, fatta 100 la quota dell’anno passato, il finanziamento 2015 potrà oscillare tra 105 e 78 (l’anno scorso era tra 110 e 95): un  elemento di forte contraddizione rispetto alla sensibilità che da più parti viene auspicata verso i giovani ricercatori.

Martino Periti

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