SOCIETÀ

La forcola della felicità

Il sentimento che attraversa questa storia è uno solo, è un’emozione che ti si incolla addosso e non ti abbandona più. Senza paura di esagerare, Piero pronuncia più volte una parola che molti censurano: felicità. E la accompagna sempre con un sorriso. Ha studiato le galassie, laureandosi in Astronomia all’università di Padova con il massimo dei voti, poi ha scelto di tornare a casa, nella sua amata Venezia. Nel 2013, Piero Dri ha aperto una bottega dove oggi costruisce remi e forcole, gli scalmi delle imbarcazioni veneziane. In un’epoca accelerata e virtuale, questo potrebbe sembrare il racconto di una vita poetica ma fuori tempo, di un’esistenza romantica ma irreale: la verità è che questa storia si trova a suo agio nel presente, collocandosi nell’esatto punto di incontro tra il futuro delle stelle e un passato prezioso. Piero ha deciso di fare le cose a modo suo, “di non essere schiavo di modelli prestabiliti”: ha abbandonato l’idea di una carriera da ricercatore per scegliere, invece, con assoluta consapevolezza, di navigare contro corrente. Per sentirsi libero, spiega. “Da piccolo andavo in giro a remi con mio nonno. Crescendo, stavo perdendo questo legame affettivo, così ho deciso di tornare a casa, nella città che amo, per occuparmi di un mestiere antico” che ha più di settecento anni e oggi, a Venezia, viene svolto da quattro remèri, il più giovane dei quali è proprio Piero che di anni ne ha trentatré e per la sua bottega, a Cannaregio, ha scelto un nome che è sintesi del suo lavoro e della sua personalità: il forcolaio matto. “Forcolaio è il mio nome d’arte, me lo sono inventato. Il mestiere vero è quello del remèr”.

Foto: Massimo Pistore

In bottega c’è legno ovunque. Ci sono trucioli per terra, remi sistemati sulla parete e remi in preparazione, forcole nelle casse e sculture in vetrina. Ci sono i tronchi che, come nella favola di Pinocchio, attendono di diventare altro, senza fretta. “Uso il noce, ma potrei utilizzare anche il ciliegio o il pero”, chiarisce, passando delicatamente le dita su una delle sue creazioni. La ricerca del legno buono inizia in segheria, dove un bravo remèr va a cercare quello che serve, seguendo da vicino le fasi della lavorazione e lasciando poi stagionare il legname scelto per un paio d’anni. Il viaggio, lento e paziente, attraversa diverse fasi: è fatto di osservazione, prima, e di esecuzione, poi. La conoscenza del legno, nel rispetto delle sue caratteristiche, è essenziale per arrivare alla realizzazione piena di ogni singola forcola, da quella per la gondola a quelle per la caorlina, per il pupparino o per la sanpierota. Ogni barca ha la sua. Ogni forcola è come un vestito confezionato su misura.

“L’aspetto che mi piace di più di questo lavoro è l’incontro tra tecnica e arte. Devo rispettare delle regole, ma posso anche metterci qualcosa di mio ogni volta”. Mentre racconta, alza una forcola e, abbracciandola, per un attimo, la trasforma in un corpo di donna. Sono talmente belle, con quelle curve sinuose e le venature del legno. Sono sculture. Piero ne ha sistemate alcune in vetrina: ai turisti piacciono, a volte arrivano anche ordini dall’estero.

Nel laboratorio si respira un’aria rilassata e, al tempo stesso, vivace. Qui passano clienti, amici e curiosi: Piero ascolta le richieste, consegna pezzi pronti, accoglie i turisti con piacere. Ha uno sguardo vivo eppure nostalgico, un evidente gusto per la bellezza essenziale, le mani un po’ rotte dell’abile artigiano. E ha un’idea chiara del lavoro ma, soprattutto, dell’esistenza: “Il mio mestiere è associato a uno stile di vita semplice, penso sia importante tornare alle cose essenziali. Dal mio maestro Paolo Brandolisio ho imparato la tecnica, la cura e la passione, ma ho anche imparato a non uccidermi di lavoro. Guadagno quello che serve per vivere sereno, non chiedo molto di più. Procedo con ottimismo e fiducia, augurandomi che le cose vadano sempre bene. Forse è questo il segreto della felicità”.  

Francesca Boccaletto

Il laboratorio di Piero Dri. Foto: Massimo Pistore

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