CULTURA

Gloria e decadenza di Venezia, capitale del libro

Le vicende di una città attraverso quelle dei suoi libri, per secoli stampati e diffusi in tutto il mondo: non è affatto una storia minore quella raccontata da Marco Callegari, docente di bibliografia alla Cattolica di Brescia e responsabile della biblioteca del Museo Bottacin a Padova, nel recente volume L’industria del libro a Venezia durante la restaurazione (Olschki, 2016).

L’opera traccia una storia sociale ed economica del libro in Laguna nel periodo tra il 1815 e il 1848, occupandosi non solo dei titoli e dei ceti intellettuali ma soprattutto della produzione e della distribuzione editoriale da un punto di vista tecnologico e imprenditoriale. Un periodo di relativa decadenza per il libro veneziano dopo i fasti dei secoli d’oro: dal Cinquecento a parte del Settecento infatti Venezia fu l’indiscussa capitale dell’editoria europea e quindi mondiale. “Il primato veneziano nella produzione e distribuzione dei libri nasce già alla fine del Quattrocento e rimane incontrastato fino al Concilio di Trento, mentre in Italia dura fino alla fine del Settecento – spiega al Bo Marco Callegari –. Un successo dovuto in primo luogo alle incredibili caratteristiche imprenditoriali dei veneziani”. Per la prima volta infatti in laguna si guardò al libro con criteri essenzialmente commerciali: “La Repubblica aveva messo in piedi una vera e propria filiera industriale che andava dalla produzione della carta, soprattutto nella zona intorno a Salò, alla stampa vera e propria e soprattutto alla distribuzione, che sfruttava i fondachi disseminati un po’ dappertutto in Europa e in Oriente come una formidabile rete di vendita”. A fare la sua parte fu però anche la politica protezionistica che la Serenissima riservava al settore librario, considerato strategico per una città di oltre centomila abitanti ma quasi completamente priva di risorse naturali, tranne la creatività dei suoi cittadini.

La decadenza di questa industria procede di pari passo con quella di Venezia: da una parte l’Europa spaccata in due dalla Riforma protestante priva la Repubblica di mercati importanti, dall’altra la perdita dei possedimenti nel Levante e l’apertura delle rotte oceaniche mettono in discussione il tradizionale ruolo di tramite con l’Oriente. È allora che il sistema di privilegi messo in piedi durante gli anni d’oro a protezione del mercato librario, che faceva perno sull’antica Arte dei librai e stampatori, da punto di forza si trasforma progressivamente in tallone d’Achille di un mondo che non riesce più a rinnovarsi.

In questo contesto i cambiamenti promossi dall’impero austro-ungarico, di cui Venezia nel frattempo entra a far parte, hanno l’effetto di una salutare frustata: intorno agli anni ’20 dell’Ottocento gli Asburgo, dopo aver abolito le associazioni delle arti e i mestieri intorno al 1808, impongono il passaggio dal sistema corporativo di impronta medievale a un regime economico liberista. “Un provvedimento che all’inizio porta l’editoria veneziana a scuotersi dal torpore e a ripartire – continua l’autore – stimolando una concorrenza tra le stamperie che produce un abbassamento dei prezzi”. Un’editoria certamente non innovatrice dal punto di vista delle idee, ma che comunque riesce a primeggiare in settori redditizi come quello rappresentato dalla traduzione e stampa di opere enciclopediche, per lo più di provenienza francese e tedesca: “È ad esempio il caso della ditta di Giuseppe Antonelli, che dal nulla arriva ad essere una delle principali d’Europa con circa 300 addetti. Anche in questo caso il segreto sta soprattutto nello spirito imprenditoriale e nella rete di agenti commerciali che copriva tutti gli stati italiani”.

Le cose cambiano con i moti carbonari con il radicale inasprimento della censura austriaca; dopo la Repubblica Veneta del ’48-’49 i controlli diventano feroci: una tendenza che porta a una sclerotizzazione dell’editoria, che di fatto ripropone opere sempre meno nuove e interessanti.

l’Unità italiana infine inserisce gli stampatori veneziani in contesto completamente diverso, dove soprattutto le ditte romane e fiorentine hanno già da anni ormai conquistato la loro fetta di mercato. Per Venezia – che arriva all’appuntamento sostanzialmente arretrata, periferica e spopolata – rimangono solo le nicchie, come il libro d’arte e quello illustrato. Sono di questo periodo opere anche di alto livello, come quelle stampate da Ferdinando Ongania, incentrate proprio sulle ricchezze di Venezia e dirette soprattutto a un pubblico di turisti e di amanti della cultura e della storia dell’arte. I fasti della grande editoria veneziana però sono decisamente alle spalle.

Daniele Mont D’Arpizio

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