SOCIETÀ
L’Italia debole dei poteri forti

Ferruccio de Bertoli mentre firma il libro degli ospiti a Palazzo Bo
C’erano una volta i poteri forti italiani: dalle grandi famiglie industriali ai ‘salotti buoni’, passando per Bankitalia e Mediobanca; gli apparati ministeriali ma anche i sindacati e i partiti. Spesso contestati (magari sottovoce) e poco lungimiranti, mai amati, ma che a loro modo a volte avevano un’idea del Paese, del suo ruolo e del suo futuro. Cose che oggi sembrano totalmente mancare: questo per lo meno è il quadro che esce dal libro Poteri forti (o quasi), recentemente presentato dall’autore a Palazzo Bo.
Nel volume Ferruccio de Bortoli racconta una carriera ultraquarantennale, che lo ha portato alla direzione del Sole 24 Ore (dal 2005 al 2009) e per ben due volte del Corriere della Sera (dal 1997 al 2003 e dal 2009 al 2015): posti privilegiati per osservare da vicino potenti e potentati d’Italia. Non si tratta solo di una galleria di volti più o meno noti, bensì del tentativo di riflettere, da parte dell’autore, sul ruolo delle classi dirigenti: “I poteri servono a fare grande un Paese – spiega al Bo de Bortoli, oggi presidente della Garzanti –. Naturalmente quando sono responsabili, seguono le leggi e hanno un senso dell’identità nazionale”. Ma qual è la differenza tra i poteri forti così benignamente intesi e la casta, termine coniato proprio da due giornalisti del Corriere con il fortunato libro del 2007? “La casta è la degenerazione dei poteri forti che si fanno deboli, opachi e trasversali”.
Ferruccio De Bortoli assieme ad Antonio Parbonetti e a Telmo Pievani, durante l’incontro in Aula Magna di Palazzo Bo lo scorso 28 giugno (Foto: Massimo Pistore/università di Padova)
Oggi l’Italia appare priva di grandi gruppi finanziari e industriali, mentre partiti e sindacati non sembrano essersi ancora completamente ripresi dallo shock della fine della prima Repubblica: eppure il Paese non sembra averne beneficiato in termini di efficienza e di trasparenza. Questo perché in Italia, secondo de Bortoli, non ci sono stati soltanto inutili carrozzoni ma anche alcune buone classi dirigenti, che hanno avuto un ruolo importante nella ricostruzione e nel miracolo economico, portando il Paese in Europa e fuori dagli anni di piombo. Anche se, ha sottolineato nel suo intervento Antonio Parbonetti (docente di economia aziendale e prorettore all’organizzazione e ai processi gestionali dell’università di Padova), le élites italiane sembrano aver dato le loro prove migliori soprattutto durante la gestione delle crisi piuttosto che nell’ordinaria amministrazione.
Il caso francese ad esempio è la dimostrazione tipica, secondo il giornalista, di poteri forti con ruolo e visione, per quanto discutibili. E non è un caso che in questi anni i transalpini abbiano potuto farsi largo nel nostro Paese (in imprese strategiche come Tim, BNL, Parmalat, Generali e Mediaset, solo per fare alcuni nomi) mentre finora siano stati sempre bloccati gli speculari tentativi italiani Oltralpe, da ultimo nella vicenda dell’acquisizione dei cantieri da Saint Nazare da parte di Fincantieri. Lo stesso fenomeno Emmanuel Macron, secondo de Bortoli, getta luce sulle dinamiche dei poteri forti francesi: “Macron è un loro prodotto – ha detto il giornalista durante l’incontro – con l’obiettivo di superare la crisi dei partiti gollista e socialista”. Così come è sempre l’establishment in questa fase a consentire la resilienza dello Stato britannico dopo la Brexit e durante l’attuale fase di instabilità politica.
Senza poteri forti, è la tesi di fondo del libro, lo Stato e la società rischiano di restare in balia di avventurieri e raider, di chi vuole rovesciare il tavolo e cambiare le regole. Come i finanzieri d’assalto oppure, in campo politico, i leader populisti come Trump. Ed è forse questo il passaggio che forse dà più da pensare del libro: non sono stati proprio i poteri forti, con la loro mania di controllo, a causare l’ascesa dei cosiddetti populismi? E quanto potrà ancora servire agitare lo spauracchio dei barbari di fronte a istituzioni sempre più autoreferenziali e delegittimate?
Un’ultima riflessione riguarda il ruolo della stampa, sempre in bilico, specie in Italia, tra il ruolo di “architrave della democrazia” (secondo la definizione di Giovanni Sartori) e di potere a sé stante che ha proprio nelle classi dirigenti i primi interlocutori: “Nel libro ammetto anche colpe ed errori personali – ha spiegato de Bortoli durante la presentazione –. Noi della stampa dovremmo ad esempio essere più attenti a restituire dignità alle persone coinvolte nei processi, che durano ancora oggi troppo a lungo, e che poi vengono assolte. Spesso poi in questi anni i giornali hanno coltivato una tendenza distruttiva piuttosto che costruttiva, e allo stesso tempo sono stati troppo conformisti, nel tentativo di compiacere il potente di turno”.
Daniele Mont D’Arpizio