IN ATENEO

Legge di stabilità 2018, l'analisi del CUN

Il Consiglio universitario nazionale, con una nota di ieri, ha comunicato al ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca l'analisi e le proposte sulla Legge di stabilità 2018 per la parte di competenza sugli atenei. Di seguito pubblichiamo la comunicazione integrale del Cun:

Il CUN, negli ultimi anni, ha più volte segnalato la necessità di destinare all’Università pubblica adeguate risorse finanziarie per consentirle di esercitare la sua funzione istituzionale e, in generale, per valorizzare il ruolo dell’istruzione e della conoscenza come strumenti per la crescita individuale e collettiva e per lo sviluppo del Paese. Tra le maggiori criticità che questo Consesso ha inoltre ripetutamente segnalato, vanno annoverate: l’esiguità del finanziamento alla ricerca e alla formazione universitaria; l’assenza di politiche efficaci per la razionalizzazione delle figure pre-ruolo nonché per il reclutamento e la progressione nelle diverse posizioni accademiche; la difficoltà di assicurare la mobilità del personale tra gli Atenei; l’inadeguatezza degli interventi sin qui posti in essere per garantire l’effettività del diritto allo studio; gli squilibri tra Atenei su base territoriale. A fronte della persistenza di tali problemi, il CUN constata oggi con rammarico la mancanza nel disegno di legge, recante il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, di un piano complessivo per il sostegno del sistema universitario e per la risoluzione delle criticità sopra evidenziate.

Sul finanziamento complessivo agli Atenei pubblici 

Questo Consesso osserva come il potenziale finanziamento pubblico complessivo agli Atenei previsto nel disegno di legge (7,362 miliardi di euro nel 2018; 7,411 miliardi nel 2019 e 7,502 miliardi nel 2020) non sia sufficiente per far fronte alle esigenze del sistema dell’istruzione superiore e della ricerca, così da poterne garantire l’efficienza, la qualità e il corretto funzionamento, anche in un’ottica di comparazione internazionale.

Tale cronico sotto finanziamento pubblico agli Atenei contrasta con le politiche di investimento che il legislatore ha individuato all’interno del provvedimento a favore di altri comparti della Pubblica Amministrazione, il cui sostegno appare prioritario rispetto a quello universitario. Peraltro in questi anni lo Stato ha destinato risorse economiche molto significative, ulteriormente rafforzate dal disegno di legge in analisi, al sostegno di iniziative di formazione e ricerca non riconducibili al sistema universitario.

Inoltre, alla luce degli interventi previsti in questo disegno di legge e nella legge 11 dicembre 2016, n.232 gli stanziamenti per i dipartimenti di eccellenza, per il piano straordinario per Ricercatori a tempo determinato di tipologia b (RTDb) e per la parte mancante della no tax area sarebbero effettivamente aggiuntivi soltanto qualora il “Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta” confluisse nel FFO.

A ciò si aggiunga che, pur nella legittimità di scelte politiche volte a destinare le risorse al raggiungimento di scopi specifici, gli incrementi di finanziamento agli Atenei pubblici sono integralmente vincolati. Questo pone un serio interrogativo circa la sostenibilità economica nel tempo dei compiti istituzionali assegnati all’Università, anche tenuto conto dei maggiori oneri conseguenti al pur positivo superamento del blocco pluriennale delle retribuzioni. All’interno del disegno di legge non vi è infatti traccia di finanziamenti aggiuntivi per sostenere gli oneri legati agli aumenti retributivi del personale docente e tecnico amministrativo che, almeno in parte, già dal 2016 fanno sentire i loro effetti economici sugli Atenei. Ne discende che, in assenza di un finanziamento ad hoc per gli incrementi di costo del personale, l’auspicato ritorno del turnover al 100%, dopo che il personale docente si è notevolmente ridotto nell’ultimo decennio, rischia di essere un obiettivo non sostenibile da un punto di vista economico-finanziario per i singoli Atenei.

Si auspica, quindi, che il legislatore rafforzi realmente l’investimento nel sistema universitario pubblico nella sua interezza, per dotare il nostro Paese di quel capitale intellettuale necessario per affrontare le sfide del presente e del futuro prossimo.

Sulle previsioni di cui agli artt. 55-57

L’art. 55 del disegno di legge si pone l’obiettivo di risolvere la vexata quaestio del congelamento degli aumenti retributivi del personale docente nel quinquennio 2011-2015 che, peraltro, non consente il riconoscimento del periodo lavorativo neanche ai fini giuridici.

La disposizione non interviene sul quinquennio di blocco, né ai fini economici né ai fini giuridici, bensì intende sostituire il sistema delle classi stipendiali triennali dei docenti universitari con un sistema di classi biennali a decorrere dal 2018 con effetti economici a partire solo dal 2020, mantenendo per la classe biennale lo stesso valore economico di quella triennale. L’ultimo periodo dell’articolo dispone l’incremento del FFO di 80 milioni di euro per l’anno 2020, 120 milioni di euro per l’anno 2021 e 150 milioni euro a decorrere dall’anno 2022.

Si segnala come l’espressione “su base premiale” relativa all’assegnazione degli scatti appaia impropria poiché tale attribuzione deve essere intesa esclusivamente quale valutazione dell’impegno didattico, di ricerca e gestionale secondo la procedura di cui all’articolo 6, co. 14, della legge n. 240/2010.

Si suggerisce di equiparare il trattamento economico dei docenti universitari a quello del resto del personale pubblico non contrattualizzato per quanto attiene il recupero di anzianità ai fini giuridici e dell’annualità retributiva 2015.

Si sottolinea inoltre come la disposizione introduca una sostanziale sperequazione di trattamento fra docenti, peraltro con posticipo temporale degli effetti economici del nuovo regime al 2020. Pertanto, si raccomanda una riformulazione della norma, sia per fornire un’efficace risposta all’esigenza di un recupero di quanto non corrisposto nel quinquennio di blocco, sia per rivisitare la disposizione di cui all’art. 6, co. 14 della legge n. 240/2010 che prevede la destinazione degli scatti non attribuiti al fondo per la premialità dei docenti.

In ogni caso si propone un anticipo al presente degli effetti economici del disposto normativo, con conseguente incremento del FFO già a decorrere dal 2018.

L’art. 56 del disegno di legge in esame introduce un piano straordinario per RTDb di 12 milioni di euro nel 2018 e di 76,5 milioni su base annua a partire dal 2019 consolidati in FFO e incrementati per l’onere del passaggio di carriera a Professore di seconda fascia, qualora in possesso di abilitazione scientifica nazionale, al termine del triennio. Nell’ipotesi che il Ministero stabilisca, come accaduto con il piano straordinario per RTDb del 2016, un trattamento economico determinato in misura pari al 120 per cento di quello iniziale spettante al Ricercatore confermato a tempo pieno, la disposizione dovrebbe consentire l’ingresso di circa 1300 nuovi ricercatori. La misura risponde in maniera solo parziale all’esigenza di rafforzare la classe docente del nostro Paese, mentre il reclutamento, soprattutto di giovani, dovrebbe costituire una prassi consolidata di investimento pubblico.

La disposizione prevede che i RTDb siano ripartiti fra gli Atenei sulla base dei risultati dell’ultimo esercizio VQR “con l’obiettivo di valorizzare la qualità dei livelli di ricerca delle diverse aree disciplinari e di individuare specifiche aree strategiche della ricerca scientifica e tecnologica”. Sarebbe al contrario auspicabile che i nuovi ricercatori fossero ripartiti fra gli Atenei, in analogia con quanto avviene per gli enti di ricerca, sulla base del FFO assegnato che già tiene conto della quota premiale.

Si auspica, inoltre, che in futuro il legislatore non faccia ricorso a piani straordinari come strumento per gli Atenei per l’attuazione della programmazione del proprio organico docente ma individui flussi di finanziamento regolari in grado di sostenere sia il reclutamento sia la progressione di carriera.

L’art. 57, ai primi due commi, prevede l’incremento del Fondo Integrativo Statale (FIS) di cui al D.lgs. n. 68/2012, pari attualmente a circa 216 milioni di euro, con la finalità di integrare i fondi regionali destinati all’erogazione dei benefici in materia di diritto allo studio per gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di cui all’art. 34 della Costituzione.

La proposta mira a consentire una riduzione del numero, estremamente rilevante, di studenti “idonei non beneficiari”. A tali studenti, infatti, non sono riconosciuti i benefici in tema di diritto allo studio per mera insufficienza dei fondi disponibili, pur possedendo essi i requisiti di eleggibilità previsti dalla legge: un’anomalia del contesto italiano che il legislatore dovrebbe porsi l’obiettivo di eliminare. La disposizione comporta un incremento di spesa pari a 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, con copertura mediante riduzione del “Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta”

Il Consiglio Universitario Nazionale auspica un rafforzamento della misura in oggetto dato che l’ammontare di risorse stanziate è decisamente lontano dal raggiungimento dello scopo di eliminare il fenomeno degli “idonei non beneficiari”. Si considera utile a questo scopo far confluire i finanziamenti previsti dall’art. 9, co. 3-16 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Fondazione per il Merito) e dall’art. 1, commi 273-275 della legge n. 232/2016 all’interno del FIS.

Inoltre, dato che le procedure di reclutamento connesse al fondo Natta non sono state avviate e visto che il relativo stanziamento negli ultimi due esercizi è confluito nel FFO complessivo, la misura potrebbe di fatto tradursi, in ipotesi di ulteriore blocco delle procedure Natta, in una minore assegnazione di finanziamento non vincolato agli Atenei. Sarebbe invece preferibile che l’iniziativa delle cattedre del merito fosse definitivamente abbandonata e, conseguentemente, che l’intero importo del fondo Natta confluisse nel FFO per far fronte agli oneri indifferibili degli Atenei. In questa prospettiva, l’incremento del FIS dovrebbe trovare un’altra copertura di natura aggiuntiva, anche alla luce di quanto in precedenza espresso.

Infine, le disposizioni di cui ai commi 3-5 dell’art. 57 intendono innalzare l’importo minimo delle borse di dottorato fissato con D.M. 18 giugno 2008, al fine di compensare parzialmente l’incremento delle aliquote contributive INPS sulla gestione separata e la perdita del potere di acquisto legata agli effetti inflazionistici. Tale intervento non consente tuttavia ai giovani che vogliano intraprendere il percorso di preparazione all’attività di ricerca di recuperare l’intera decurtazione sofferta; si auspica, pertanto, un rafforzamento della misura.

La norma comporta un incremento di spesa di 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, con copertura mediante riduzione del fondo Natta per 5 milioni e del fondo FFABR per 10 milioni. Sulla decurtazione del fondo Natta, valgono le considerazioni sopra espresse; sulla riduzione del FFABR, si suggerisce di individuare un’altra copertura di natura realmente aggiuntiva.

Il Consiglio nazionale chiede: 

che nella formulazione del testo definitivo della legge “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” si tengano in considerazione le osservazioni qui formulate al fine di adeguare le risorse, attualmente non sufficienti, al raggiungimento dello scopo strategico di sostenere il sistema universitario pubblico.

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