CULTURA

L'era della sorveglianza

Esce nei prossimi giorni, per Laterza, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida di Zygmunt Bauman e David Lyon. Pubblichiamo in anteprima alcune pagine dall’introduzione di Lyon.

L’espressione “sorveglianza liquida”, più che una definizione esauriente della sorveglianza, è soprattutto un orientamento, un modo di contestualizzarne gli sviluppi nella modernità fluida e inquietante di oggi. La sorveglianza tende a farsi liquida soprattutto nella sfera dei consumi. Nel momento in cui frammenti di dati personali estratti per un determinato scopo divengono facilmente utilizzabili per altri scopi, gli antichi punti di riferimento vengono meno. La sorveglianza si diffonde in modi fino ad ora impensabili, reagendo alla liquidità e contribuendo al tempo stesso a riprodurla. Priva di un contenitore stabile, ma sballottata dalle esigenze di “sicurezza” e sollecitata con discrezione dal marketing insistente dei produttori di tecnologie, la sorveglianza dilaga ovunque. La nozione di modernità liquida di Bauman offre nuovi modi per inquadrarla, intuizioni acute e sorprendenti sui motivi per cui si sviluppa in queste direzioni e, al tempo stesso, idee proficue su come affrontarne e contrastarne gli effetti peggiori. Naturalmente questa è la mia visione della situazione. Come la pensi Bauman si chiarisce progressivamente nel corso delle nostre conversazioni...

Che la sorveglianza sia una dimensione centrale della modernità è ampiamente assodato. Ma la modernità non conosce sosta. E dobbiamo anche porci una domanda: che genere di modernità? L’attuale situazione si può definire di “tarda” modernità, “post”- modernità o, con espressione più colorita, modernità “liquida”. Zygmunt Bauman sostiene che la modernità si sia liquefatta in modi nuovi e diversi (andando oltre l’intuizione di Marx ed Engels, risalente agli albori della modernità, secondo cui “tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria”). A tale riguardo due sono le caratteristiche che spiccano particolarmente.

Come primo punto, tutte le forme sociali si fondono in un tempo più breve di quello che occorre per forgiarne di nuove. Se esse non riescono a conservare le proprie sembianze o a solidificarsi in schemi di riferimento utili all’azione o alle strategie di vita umane, è perché hanno una data di scadenza ravvicinata. Ciò vale anche per la sorveglianza? Numerosi teorici hanno osservato come la sorveglianza, che un tempo appariva solida e stabile, sia diventata flessibile e mobile, diffondendosi e penetrando in molti ambiti di vita in cui in passato aveva un’influenza marginale.

È stato Gilles Deleuze a introdurre la nozione di “società del controllo”, in cui la sorveglianza non cresce come un albero – rigidamente, in senso verticale, come il Panopticon –, ma striscia come un’erba infestante. Come osservano a tale proposito Haggerty ed Ericson, l’“assemblaggio sorvegliante” intercetta i flussi di quelli che si possono definire dati corporei, trasformandoli in data doubles (“sosia costituiti da dati”) estremamente fluidi e instabili. Anche William Staples nota che la  sorveglianza oggi si affaccia in culture “caratterizzate dalla frammentazione e dall’incertezza, visto che molti significati, simboli e istituzioni della vita moderna un-tempo-dati-per-scontati si dissolvono davanti ai nostri occhi”. Ciò che è circoscritto, strutturato e stabile finisce cosi per liquefarsi.

Bauman concorda che il Panopticon era di fondamentale importanza come moderno mezzo di controllo, impedendo il movimento tra i detenuti e favorendolo tra i loro custodi. Ma questi ultimi non potevano fare a meno di essere presenti e, inoltre, il progetto Panopticon era costoso. Esso mirava a facilitare il controllo attraverso una disposizione a semicerchio dei blocchi di celle, per consentire all’“ispettore”, situato al centro e celato dietro uno schermo, di guardare in ogni cella rimanendo invisibile ai detenuti. Il mondo di oggi, dice Bauman, è post-panottico. Gli ispettori possono essere sfuggenti e rifugiarsi in ambiti irraggiungibili. L’epoca del “reciproco coinvolgimento” è giunta al termine: ormai si apprezzano la mobilità e il nomadismo (almeno finché non riguardano i poveri o i senzatetto). Piccolo, leggero, veloce sono tutti sinonimi di migliore: almeno nel mondo degli iPhone e degli iPad.

Ma il Panopticon non è che uno dei modelli di sorveglianza. L’architettura delle tecnologie elettroniche, usate dalle mutevoli e mobili organizzazioni attuali per affermare il potere, rende in gran parte superflua l’architettura a base di muri e finestre (nonostante “firewall” e “finestre” virtuali) e permette forme di controllo che mostrano volti diversi: oltre a essere prive di nessi evidenti con l’incarcerazione, hanno spesso le stesse caratteristiche flessibili e divertenti tipiche dell’intrattenimento e del consumismo. Il check-in si può fare con lo smartphone anziché all’aeroporto, ma richiede pur sempre uno scambio internazionale di dati, tra cui il fondamentale Pnr (Passenger name record) attribuito al momento della prenotazione (che potrebbe essere stata fatta essa pure da uno smartphone).

In questa visione disciplina e sicurezza sono davvero collegate, cosa che Foucault non aveva compreso. Egli insiste sulla loro separazione proprio nel momento in cui i loro collegamenti (elettronici) iniziavano a emergere più chiaramente. La sicurezza ha assunto le sembianze di un’attività orientata al futuro – nitidamente colta dal film e romanzo Minority Report (2002) – e si basa sulla sorveglianza, al fine di tenere sotto osservazione, mediante tecniche digitali e analisi statistiche, ciò che accadrà. Come sottolinea Didier Bigo, questa sicurezza opera tenendo traccia di “tutto ciò che si muove (prodotti, informazioni, capitali, esseri umani)”. In tal modo la sorveglianza opera a una distanza che è sia spaziale che temporale e circola con fluidità con – e oltre – gli Stati-nazione, in un regno globalizzato. Rassicurazioni e riconoscimenti accompagnano quei gruppi mobili ai quali tali tecniche sono fatte apparire come “natura”; processi di profilazione e misure di esclusione aspettano invece i gruppi che hanno la sfortuna di essere etichettati come “sgraditi”.

Il secondo punto, legato al primo, è che potere e politica si stanno separando. Il potere esiste ormai nello spazio globale ed extraterritoriale, mentre la politica, che un tempo raccordava interessi individuali e pubblici, rimane locale e non è in grado di operare su scala planetaria. Senza controllo politico il potere diventa fonte di grande incertezza, mentre la politica appare irrilevante rispetto ai problemi e alle paure di tante persone. Il potere di sorveglianza esercitato da dipartimenti governativi, agenzie di polizia e aziende private rientra bene in questa descrizione. Persino le frontiere nazionali, che un tempo avevano un’ubicazione geografica (per quanto arbitraria), compaiono ora negli aeroporti, distanti dai “confini” del territorio e, cosa ancora più significativa, in database che potrebbero non trovarsi nemmeno più “nel” paese in questione.

Spingendo oltre questo esempio, il tema dei confini mutevoli è per molti fonte di grande incertezza. Sottoporsi ai controlli di sicurezza degli aeroporti è motivo di ansia, non sapendo esattamente in quale giurisdizione ci si trova o dove andranno a finire i propri dettagli personali, e ciò vale a maggior ragione quando si fa parte di una popolazione attenzionata. E se si è tanto sfortunati da essere fermati e scoprire che il proprio nome fa parte di una qualche no-fly list è noto quanto sia difficile sapere cosa fare. E al di la di quanto detto, ad esempio, attuare cambiamenti politici volti a semplificare i viaggi necessari è una sfida temeraria.

La liquefazione delle forme sociali e la separazione tra potere e politica sono due caratteristiche-chiave della modernità liquida che hanno evidenti attinenze con la sorveglianza, ma vale la pena di ricordare anche altri due collegamenti. Uno è il rapporto di reciprocità che intercorre tra nuovi mediae fluidità delle relazioni. Mentre alcuni additano i nuovi mezzi di comunicazione come causa della frammentazione sociale, Bauman ritiene che sia vero anche il contrario. Egli ipotizza che i social mediasiano un prodotto della frammentazione sociale, e non solo (o non necessariamente) viceversa. Secondo Bauman il potere, nella modernità liquida, deve essere libero di circolare in modo fluido e (sempre il potere) reputa barriere, recinzioni, confini e posti di controllo come fastidi da superare o da aggirare, e le dense e solide reti di legami sociali, specialmente su base territoriale, come qualcosa che va eliminato. Per Bauman ciò che consente a tale potere di funzionare è soprattutto la fragilità dei legami sociali.

Quest’affermazione, applicata ai social media, appare controversa, perché molti attivisti vedono in tweet e messaggi un grande potenziale di solidarietà sociale e di organizzazione politica. Pensiamo al movimento Occupy Wall Street, alle vaste proteste del cosiddetto 99% contro i privilegi e il potere dell’1% nei paesi ricchi, o alla Primavera araba del 2011. Tuttavia, questa è un’area alla quale guardare con attenzione, non foss’altro per il motivo che è già sorvegliata. I social media dipendono, per la loro stessa esistenza, dal monitoraggio degli utenti e dalla vendita dei dati a terzi. Le possibilità di resistenza che offrono sono attraenti e per certi versi feconde, ma anche limitate, a causa sia della mancanza delle risorse necessarie per stringere relazioni in un mondo che tende a liquefarsi, sia del fatto che all’interno dei social media il potere di sorveglianza è endemico e consequenziale.

Proprietà Letteraria Riservata, © Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Zygmunt Bauman - David Lyon, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida. Laterza, 2015 - collana: “Economica Laterza”

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