UNIVERSITÀ E SCUOLA

Da Lorenzo il Magnifico a Kickstarter

C’era una volta Lorenzo de Medici, non per niente detto Lorenzo il Magnifico, che incarnò l’anima più profonda del Rinascimento italiano. Non solo abile politico, ma anche provvido mecenate, il Magnifico ebbe il merito di sostenere la cultura e le arti fiorentine attraendo a corte giovani promettenti artisti del calibro di Michelangelo Buonarroti. Se Firenze è divenuta la culla del Rinascimento è grazie all’oculata strategia basata sul consenso di un politico un po’ scrittore un po’ poeta. Passati i gloriosi tempi del mecenatismo, finiti i tempi del finanziamento pubblico alla cultura per esaurimento fondi, quali alternative rimangono ai giovani artisti? Quale il sostegno all’imprenditorialità culturale? Nel vuoto pneumatico delle istituzioni si affaccia un nuovo strumento, potenzialmente sostitutivo sia dei finanziamenti pubblici che del mecenatismo. Si tratta del crowdfunding.

Vi ricordate la colletta fatta a scuola per sostenere il compagno in difficoltà i cui genitori non potevano pagare la quota per la gita scolastica? O quella per dotare il quartiere di una giostrina per arricchire uno sguarnito parco giochi? Ecco, immaginate di amplificare il fenomeno, e di far partecipare alla colletta anche un vostro lontano parente in Sicilia, o l’amico dell’amico emigrato a New York, e così via. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) permettono di coinvolgere un numero vastissimo di persone, una comunità, desiderosa di far parte di un nuovo progetto in cui crede e pronta a sostenerlo economicamente.

Il crowdfunding nasce con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti da parte di una folla - crowd - disposta ad investire anche piccole somme in un progetto, un’idea di business, una causa sociale. Il termine è stato creato da Micheal  Sullivan nel 2006, per il lancio di “Fundavlog”, un sito per promuovere eventi e iniziative nel settore dei video-blog, e ricevere finanziamenti da internet. Il progetto fu un fallimento, e il crowdfunding cominciò realmente a funzionare con l’avvento, qualche anno più tardi, di Kickstarter. Kickstarter, nata nel 2008, si è affermata come la più grande piattaforma di crowdfunding al mondo per il sostegno di progetti creativi, prevalentemente nell’ambito delle cosiddette industrie creative (musica, design, cinema, teatro…). Nel 2009 si affaccia nell’ambiente del crowdfunding un’altra piattaforma di successo, Indiegogo, anch’essa proiettata verso il finanziamento delle industrie creative.

Si distinguono principalmente 5 categorie di piattaforme per il crowdfunding: donation based; reward based; lending based; equity based; modelli ibridi. Senza entrare in tecnicismi, il discrimine importante tra le varie piattaforme è la modalità di raccolta fondi, che può prevedere o meno un “ritorno dell’investimento fatto”, in termini di informazioni, prodotti, denaro o dividendi. Quali gli step per affrontare efficacemente un progetto di crowdfunding?

  1. Fase pre-lancio: progettazione della campagna
  2. Fase di lancio: lancio della campagna
  3. Fase post-lancio: amministrazione e gestione della campagna
  4. Fase di follow-up: gestione dei feedback, analisi dei risultati, gestione degli aggiornamenti dovuti ai finanziatori

Durante la prima fase è necessario provvedere a organizzare tutte le informazioni in merito alla descrizione del progetto, del team di lavoro e alla definizione del target a cui rivolgere la campagna. Tali informazioni devono poi essere rese facilmente fruibili ai target selezionati attraverso la creazione di supporti multimediali, quali dei video informativi da veicolare attraverso diversi canali di comunicazione, prediligendo i social media per generare un effetto di propagazione di tipo virale. La creazione di un sito web dedicato (provvisto di blog) e di una pagina Facebook dove comunicare direttamente con il pubblico di riferimento è un’attività fortemente raccomandata. Nella fase pre-lancio si cerca quindi di attirare l’attenzione di una comunità di persone potenzialmente trasformabili in donatori. In questa fase si definisce anche il budget da raggiungere e la piattaforma su cui veicolare la campagna. La scelta della piattaforma è influenzata dalla tematica del progetto e dalla scelta di optare per una soluzione “keep it all” vs  “all or nothing”. Nel primo caso il proponente trattiene le donazioni anche se l’obiettivo (goal) non viene raggiunto, nel secondo le somme versate vengono restituite se la campagna non raccoglie abbastanza contributi da raggiungere il goal prefissato. E’ inoltre necessario fissare la modalità di ricompensa dei donatori, che usualmente è proporzionale alla somma donata.

Nella seconda fase si attivano le donazioni e si avvia il conto alla rovescia, che determina la durata della campagna (che solitamente si aggira intorno ai 60 giorni). L’investimento nell’esposizione mediatica è all’apice, si possono prevedere attività off-line quali eventi informativi tradizionali o non convenzionali (come un flash-mob) e il coinvolgimento dei media tradizionali come carta stampata e radio. L’obiettivo è di estendere la comunità di potenziali donatori attraverso la stimolazione della condivisione dei contenuti multimediali utilizzati e il coinvolgimento di possibili influenzatori (influencers), quali blogger famosi o personaggi noti.

Nella fase post-lancio è necessario gestire la campagna e le relazioni con i membri della comunità e dei donatori, che dovranno trovare immediato riscontro in caso di richiesta di informazioni sul progetto da finanziare. Al raggiungimento di una certa soglia di donazioni è possibile attirare l’attenzione di alcuni sponsor a supporto del progetto, che potranno beneficiare della risonanza del progetto stesso e contribuire cospicuamente alla campagna di fundraising.

Nella fase di follow-up, da non trascurare, è indispensabile procedere alla consegna delle ricompense e mantenere informati i donatori sugli avanzamenti del progetto (il coinvolgimento non deve assolutamente terminare una volta ricevuta la somma di denaro richiesta). La realizzazione di eventi di diffusione dei risultati della campagna è propedeutica ad aumentare la reputazione del proponente in caso di apertura di una nuova campagna.

In Italia si assiste a un proliferare di piattaforme, tra cui Produzioni dal basso, Starteed, Musicraiser ed Eppela, per citare le più note. Ad oggi, secondo il report stilato da Ivana Pais, dell’università Cattolica di Milano, le piattaforme in Italia sono 82, 69 attive e 13 in fase di lancio (dati aggiornati al 21 ottobre 2015). Delle 69 attive 31 sono reward-based, 13 donation-based, 3 lending-based, 13 equity-based e 9 ibride. Il fenomeno è in rapida crescita, dato che nel 2014 si era a quota 41, e che quest’anno si è tenuto a Bologna il primo Festival italiano del crowdfunding.

Se le piattaforme di crowdfunding nascono per sostenere progetti dell’industria culturale e creativa, più recentemente si affermano negli Stati Uniti piattaforme dedicate al finanziamento della ricerca scientifica (la creatività ha molteplici forme), tra cui si annoverano Consano, Experiment.com, Petridish.org e Superior Ideas. In Italia ad oggi non abbiamo una cultura orientata al crowdfunding della ricerca scientifica, la scienza rimane spesso chiusa nella sua torre d’avorio e fatica a comunicare con il territorio, sia esso concepito come insieme di imprese che come insieme di individui. E’ ancora difficile in Italia implementare efficacemente il trasferimento tecnologico e le relazioni università impresa, vuoi per le caratteristiche tipiche del tessuto imprenditoriale, costituito prevalentemente da micro e piccole imprese, vuoi per una scarsa valutazione dell’orientamento imprenditoriale dei ricercatori operanti nelle nostre università. La reputazione degli scienziati è spesso svincolata dalla capacità di produrre qualcosa di “utile”, e più ancorata alla capacità di pubblicare su riviste di alto valore scientifico. Di conseguenza la terza missione dell’università viene spesso sacrificata. D’altro canto, i finanziamenti pubblici alla ricerca in Italia rasentano il limite inferiore, e sebbene  gli atenei spingano verso la partecipazione a bandi europei e cercare quindi altrove i contributi finanziari per portare avanti i progetti, anche di eccellenza, dei nostri ricercatori, la probabilità di accedervi rimane molto bassa, e la competizione molto alta. Come direbbe Gianni Morandi, uno su mille ce la fa. E gli altri?

Appare dunque interessante esplorare nuove forme di fundraising, e cercare di capire come queste possano inserirsi, con un’ottica di complementarietà, in una sapiente strategia di pianificazione di un portafoglio eterogeneo di possibili fonti di finanziamento. Il crowdfunding è tra queste forme nuove e alternative. Alcune università italiane hanno avviato dei progetti pilota per sostenere la ricerca scientifica attraverso il crowdfunding, creando delle piattaforme dedicate: è il caso dell’università di Pavia con Universitiamo e dell’università di Torino con Fondazione Ricerca e Talenti. Altre università si sono affacciate a questa realtà sostenendo la presenza dei loro ricercatori all’interno di piattaforme già esistenti. L’università di Padova non ha ancora sfruttato questa opportunità, che apre nuove prospettive per il futuro della ricerca scientifica.

Diviene cruciale però comprendere appieno il fenomeno. Capire che il cuore del crowdfunding sta nella parola crowd – la folla. Ciò che si deve trasmettere è un messaggio forte, indirizzato a persone e non a target, che devono sentirsi partecipi di un’avventura, che donano non per compassione, ma perché ci credono. Ecco perché la forma reward-based è la più diffusa, perché coinvolge le persone in un processo di definizione di un nuovo prodotto, di un nuovo servizio, di cui possono essere i primi clienti (early adopters, usando il linguaggio di marketing).

Come coinvolgere la folla a contribuire ad un progetto di ricerca scientifico? Essere sulla piattaforma non è sufficiente, anzi, in taluni casi addirittura superfluo (se possibile  è consigliabile creare un sito web del progetto e implementare un sistema di raccolta fondi – il cosiddetto DIY – do it yourself). Ciò che conta è la capacità di comunicare, di creare empatia. Si rende necessario in questa prospettiva dotarsi di strutture che offrano le competenze necessarie a valutare la sostenibilità del progetto, a strutturare una campagna di crowdfunding e ad accompagnare il singolo ricercatore o team di ricerca in questa avventura. Senza tale accompagnamento è inutile anche solo parlare di crowdfunding, perché la scienza non si “vende da sola” e la popolazione non finanzia progetti di cui non riesce a comprendere il valore scientifico. Va da sé che anche la tipologia di progetto ha minore o maggiore potenzialità di raggiungere il target. Non tutti i progetti possono essere finanziati attraverso il crowdfunding, e non perché non siano di valore, ma perché non hanno le caratteristiche giuste in termini di potenziale coinvolgimento da parte del pubblico e numerosità dei potenziali donatori (il mercato potenziale, direbbe un esperto di marketing). Va posta dunque attenzione alla selezione dei progetti e alle modalità di comunicazione: variabili essenziali per determinare il successo di una campagna. Ovvio, una certa propensione al rischio deve esserci, perché il crowdfunding prevede uno spirito imprenditoriale spesso scarso o assente nei team di ricerca e nelle strutture pubbliche. Ben vengano progetti pilota che possano orientare le azioni da intraprendere da parte dell’università in termini di risorse e progettualità.

Silvia Sedita

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