SOCIETÀ

Un milione di euro per giovani talenti

Finalmente. Decenni di accuse da parte di musicisti, attori, registi, studiosi: “L’Italia di Verdi e Rossini non fa nulla per coltivare i giovani talenti, azzera l’educazione alla musica e alle arti, dilapida il suo patrimonio culturale”; proteste torrenziali sull’assenza di risorse per avvicinare gli scolari agli strumenti musicali, al disegno, alla recitazione. In attesa di politiche di lungo termine, urgeva, quantomeno, un gesto riparatore. Così, dai corridoi del ministero dell’Istruzione, a segnare la svolta giunge un bando protocollato: i premi “Claudio Abbado”, un milione di euro (anzi, 996.200) destinati a far emergere i migliori allievi di conservatori, accademie d’arte, istituti per il design di tutto il Paese. Iniziativa ammirevole e controcorrente, in un periodo in cui non si contano i tagli a teatri, enti lirici, istituzioni culturali.

Il concorso, recita il bando, è rivolto agli studenti di tutta Italia degli Afam, gli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica: dunque conservatori e istituti musicali, accademie di belle arti, danza e arte drammatica, istituti per il design. Quali meccanismi avrà immaginato il ministero per selezionare, nel nome del grande direttore da poco scomparso, i futuri maestri che, con qualche ritardo, rinnovino i successi dei Carlo Maria Giulini, dei Gassman, dei Magistretti? Il premio “Chopin”, una delle massime competizioni pianistiche del mondo, attribuisce in tutto sei premi; il “Paganini”, che laurea le grandi promesse del violino, tre; il “Claudio Abbado”, per non sbagliare, ne assegna 235, suddivisi in 61 categorie da quattro premi ciascuna (tre premi per i settori più scalognati). La linea scelta è quindi cristallina: un riconoscimento-monstre esteso a tutti gli ambiti artistico-disciplinari delle nostre accademie, dal mandolino alla terapeutica artistica. Giusto: lo Stato deve valorizzare ogni campo della creatività, senza discriminazioni. Senza voler apparire degli snob, però, qualche dubbio è lecito: il premio a un artista non dovrebbe essere fortemente competitivo, in modo da offrire un reale spazio a pochi, veri talenti? E l’entità del premio, per quanto vile appaia l’abbinamento tra denaro e cultura, non è essa stessa un indice (parziale, ovviamente) del prestigio del concorso?

Se allo “Chopin” il vincitore si aggiudica 30.000 euro e al “Paganini” 20.000, i trionfatori del “Claudio Abbado” si porteranno a casa 7.000 euro. Somma che, si potrebbe obiettare, per un ventenne non è male: e in effetti, hanno pensato al ministero, passino i settemila per un orfanello, ma non certo per chi proviene da una famiglia media. Ed ecco escogitato, in nome della meritocrazia politicamente corretta, il criterio equilibratore: l’entità di ogni premio non è fissa, ma si traduce in sei possibili importi, che variano a seconda dell’Isee, l’indicatore del patrimonio familiare del vincitore. Risultato? Se il premio è assegnato a un allievo facoltoso subisce una decurtazione che può arrivare al 29, al 43 e (nel caso del quarto premio di ogni categoria) all’80% della cifra iniziale. Con paradossi fantastici: uno studente di fisarmonica “benestante” che ottenga il secondo premio riceverà la bellezza di 200 euro in più del quarto classificato, se “povero”. Con tanti saluti alla correlazione tra talento, merito e premio. Un criterio che non nasce dall’impeto di qualche Robin Hood ministeriale, ma dall’applicazione di una legge che nel finanziare il premio aveva stabilito, fin dall’inizio, di neutralizzarne ogni selettività.

Ma l’ansia perequatrice dei funzionari ministeriali non era, evidentemente, appagata.  E allora spunta, nel bando, il comma 4 dell’articolo 2. Funziona così: siccome il “montepremi” da un milione è soltanto virtuale, perché si abbasserà tanto più quanto più numerosi saranno i vincitori che hanno un Isee elevato, dopo l’assegnazione avanzerà una somma consistente. Bene, il comma 4 recita che l’avanzo “verrà proporzionalmente diviso tra tutti i premi assegnati”. Dunque, anziché destinare i residui dell’infernale meccanismo ai “soli” 61 primi classificati, si annaffierà con una goccia a testa l’intero esercito dei 235 selezionati. Un marchingegno squisitamente italico, con logiche da burocrazia profonda che, per un premio alle doti artistiche, speravamo non riesumabili. E visto che si è scelto di trasformare una potenziale vetrina di ingegni in una distribuzione di mance al valore (e al reddito), si compia, almeno, un atto di sincerità. Togliamo la dedica al maestro Abbado, e ribattezziamo l’iniziativa nell’unico modo coerente: “trofeo Giulio Andreotti”. 

Martino Periti

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