SOCIETÀ

Morire di smog

Era visibile anche dallo spazio la nube di nebbia e smog che gli scorsi mesi avvolgeva tutto il nord Italia; l’ha immortalata l’astronauta Paolo Nespoli in una fotografia scattata dalla Stazione spaziale internazionale. Ma non è una novità, il problema dell’inquinamento atmosferico si ripresenta ciclicamente nelle nostre città e, sempre, in modo allarmante. Segnali positivi, seppur minimi, sembrano venire dal rapporto ‘MobilitAria2018’ realizzato dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche e del Gruppo mobilità sostenibile del Kyoto Club. Anche se, proprio ieri, l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha lanciato l’ennesimo allarme: lo smog causerebbe circa 7 milioni di morti ogni anno, mentre 9 persone su 10 vivono in contesti con l'aria inquinata. Lo studio ha preso in esame la qualità dell’aria, analizzando e comparando i livelli di concentrazione nell’aria di Biossido di azoto (NO2), di polveri sottili o particolato (PM10 e PM2,5) e le politiche di mobilità in 14 grandi città italiane da nord a sud nel decennio 2006-2016 per incrociare infine i dati con i principali provvedimenti adottati nei centri. Dal rapporto emerge una lieve riduzione della media delle concentrazioni annuali e quindi un miglioramento diffuso della qualità dell’aria ma è ancora frequente in tutte le città il superamento dei limiti consentiti per legge per quanto riguarda gli inquinanti presi in esame; specialmente al nord (Milano, Torino e Venezia) dove è ancora molto alto il numero dei superamenti del valore limite giornaliero di PM10. “Il particolato e l’ozono sono considerati da decenni i principali inquinanti capaci di causare problemi alla salute, in particolare respiratori – spiega Antonio Scipioni docente di Ingegneria industriale all’ateneo di Padova. Il particolato consiste in una miscela di particelle solide e liquide sospese nell’aria e può essere emesso sia direttamente in atmosfera (tramite la combustione nei motori a scoppio, la combustione nella produzione energetica residenziale o industriale, tramite l’erosione della pavimentazione stradale, ecc…), sia attraverso la trasformazione dovuta a precursori gassosi che reagiscono una volta emessi in atmosfera (nelle attività di trasporto e industriali, in agricoltura, ecc…)”.

L’anno scorso la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia la seconda fase della procedura d’infrazione partita nel 2014 contro le ripetute violazioni dei limiti d’inquinamento dell’aria per il Biossido di azoto che costituisce grave danno per la salute. Nel nostro Paese ogni anno le morti premature causate dall’inquinamento atmosferico sono circa 90.000 e le cause sono soprattutto da ricercare nel traffico stradale e nel riscaldamento. “L’OECD (Organization for  Economic Co-operation and Development) – prosegue il professore - ha stimato i danni alla salute umana causati da impatti di tipo ambientale pari a 134 DALYs per 1.000 abitanti dove il DALY sta per disability-adjusted life years, ossia anni di vita persa per morte prematura o disabilità. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha analizzato le principali cause di mortalità nel continente europeo in riferimento al periodo 1990-2009 e ha evidenziato come una delle sei principali cause sia collegata proprio a problemi di tipo respiratorio. Analizzando poi i dati storici in termini di DALY, l’OMS considera che fino al 2030 i problemi di tipo respiratorio principalmente connessi con l’inquinamento atmosferico, rimarranno tra i principali fattori impattanti sulla salute umana”.

Nonostante i miglioramenti, in Italia il principale settore per emissioni di ossidi di zolfo (SOX) e composti organici volatili senza metano (COVNM), resta l’industria ma anche l’agricoltura gioca un ruolo importante producendo il 96% delle emissioni nazionali di ammoniaca. Tuttavia sono il settore dei trasporti, responsabile della produzione del 66% degli ossidi di azoto e quello residenziale, le principali cause dell’aria inquinata che respiriamo. Secondo un recente studio pubblicato dall'agenzia statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration determinanti nella cattiva qualità dell’aria sono anche le emissioni generate dai prodotti domestici o per la cura della persona (detersivi, profumi, saponi, vernici…) che utilizzano composti destinati ad evaporare ma che, se impiegati in ambienti interni, tendono a ristagnare e ad essere risollevati con la polvere raggiungendo concentrazioni fino a dieci volte più elevate di quelle esterne.

Tra le politiche di contrasto sulle quali l’Europa e anche l’Italia stanno investendo, c’è lo sviluppo della ciclabilità. Nel nostro Paese le grandi città, sempre secondo il rapporto Mobilitaria2018, in questi dieci anni si sono realmente impegnate nelle politiche di mobilità sostenibile e molti degli interventi messi in atto hanno contribuito a portare buoni risultati anche se in modo disomogeneo tra il Nord e il Sud del Paese. Ma in un contesto ambientale così compromesso qual è il rapporto rischio/beneficio tra attività fisica ed esposizione all'inquinamento atmosferico? “Come dimostrato da studi recenti – continua Scipioni – parlando di contesto urbano e di concentrazione di  PM2.5, emerge come in linea di massima i vantaggi derivanti dall’attività fisica, sia essa in bici o a piedi, superino quasi sempre i danni causati dall'inquinamento atmosferico, ad eccezione solamente dei casi più estremi. Tenendo conto di uno scenario urbano medio caratterizzato da un livello di PM2.5 pari a 50 μg/m3, gli studi dimostrano come l’attività fisica in bici sia conveniente per la salute fino a quasi 90 minuti al giorno e pertanto dovrebbe essere incoraggiata quanto più possibile anche in risposta ai problemi di inquinamento”.

Francesca Forzan

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