CULTURA
La nascita della cultura di massa nel secolo americano
Fino agli ultimi decenni dell’800, se si voleva consumare cultura bisognava acquistarla e portarsela a casa (libro o spartito musicale), oppure uscire per andare all'opera, al teatro, a un concerto o in chiesa, dove si poteva ascoltare musica gratuitamente.
I libri erano costosi e quindi la maggior parte dei romanzi veniva pubblicata a puntate sui giornali o presa in prestito, a pagamento, da una biblioteca. Nel secolo XIX però si iniziano a sperimentare molti degli aspetti dei mercati culturali che poi caratterizzeranno il XX secolo: i romanzi a puntate, per esempio, richiedevano un meccanismo per invogliare il consumatore ad acquistare il capitolo successivo. Così era necessario concludere ogni puntata con quello che gli inglesi chiamano un ‘cliff hanger’ (letteralmente ‘appeso alla scogliera’), un’interruzione intenzionale della narrazione nel momento più drammatico: proprio come oggi in TV o alla radio si cercava di creare una suspense finale per invogliare il lettore ad acquistare la puntata successiva ancora e ancora.
Parentesi: il termine cliff hanger divenne popolare dopo la pubblicazione di un episodio di A Pair of Blue Eyes, il terzo romanzo di Thomas Hardy, uno dei grandi romanzieri inglesi dell’800. Nel libro Elfride è corteggiata da Henry ma preferisce Stephen, più giovane ma meno ricco. Un giorno, passeggiando con Elfride vicino alla scogliera, Henry scivola e rimane aggrappato. Dopo qualche esitazione – e dobbiamo aspettare la prossima puntata – Elfride lo salva facendo una fune con le mutande e la sottoveste (senza che lui la potesse vedere ). Naturalmente si trattava di mutandone e sottoveste vittoriani e non di un moderno tanga, con il quale il povero Henry non avrebbe avuto alcuna chance.
Un altro elemento della cultura di massa del ‘900 che dobbiamo all’800 sta nel potere di attrazione esercitata da uno star system, il cui equivalente erano i cantanti lirici, chiamati appunto ‘divi’: la svedese Jenny Lind, l’italiana Adelina Patti, l’australiana Nellie Melba (in suo onore un grande chef parigino inventò la Pesca Melba) e, ancora, Enrico Caruso e Beniamino Gigli.
Poi c’erano i grandi musicisti, più noti ai loro tempi come interpreti che come compositori, quale ad esempio Franz Liszt (1811-1886), il pianista più popolare del XIX secolo. Conosceva a memoria quasi tutto il repertorio pianistico, che inoltre ampliava trascrivendo e adattando pezzi scritti per altri strumenti, tra cui brani di sinfonie e opere, in frammenti facilmente digeribili per il pubblico. Tra il 1839 e il 1847 fu impegnato in un formidabile tournée europea con oltre 1.000 concerti. In alcune città Liszt faceva il tutto esaurito con 3.000 spettatori e divenne oggetto di un’idolatria paragonabile a quella di certe rockstar degli ultimi 50 anni, generando una tale frenesia che si parlò di ‘Lisztomania’.
Le ammiratrici – Liszt era un bell’uomo – raccoglievano ciocche dei suoi capelli come ricordo. Ad un prezzo stabilito, signore della buona società ottenevano di stare sedute attorno al pianoforte durante alcuni dei suoi concerti. Aneddoti su di lui abbondano, come ad esempio quello della nobildonna che sistemò uno dei suoi sigari scartati in un astuccio di cuoio, che poi portò nel décolleté fino alla morte.
Tra il 1880 e il 1920 tre innovazioni cambiarono per sempre i mercati culturali. La prima fu la possibilità di registrare il suono, e ciò è all’origine dell'industria musicale. Da allora, fu sufficiente comprare il fonografo (o, come diremmo oggi, l’hardware) e poi il disco, ovvero il software.
Oggi la musica è ovunque. Ci svegliamo con la radio sintonizzata su una stazione di musica. Andiamo a lavorare ascoltando musica in macchina, o sui mezzi pubblici con un Walkman (ieri) o un iPod (oggi) collegati alla nostre orecchie. Andiamo in un bar o in un ristorante e c'è musica. Facciamo una telefonata e veniamo messi in attesa con la musica. I nostri cellulari richiamano la nostra attenzione con il nostro brano preferito. C’è musica in aeroporto, nelle hall degli hotel, prendiamo un ascensore e c'è musica. I nostri aerei decollano e atterranno a suon di musica. Visitiamo negozi e centri commerciali, e c'è musica. Ascoltiamo musica mentre stiamo indaffarati con le faccende domestiche, mentre mangiamo, mentre leggiamo.
La musica esiste fin dagli albori del tempo. Eppure, prima della seconda guerra mondiale, l'industria della musica era, commercialmente parlando, relativamente poco importante. Per ascoltare musica senza pagare si andava in chiesa o si cantava tra amici e in famiglia.
La seconda invenzione rivoluzionaria della fine dell’800 è l'immagine in movimento, il cinema ovvero i ‘movies’, come li chiamano gli americani. È interessante che la storia dell’immagine in movimento venga tradizionalmente fatta cominciare non quando fu inventato il cinema, ma quando fu visto per la prima volta a pagamento, ovvero il 28 dicembre 1895 al Grand Café di Parigi.
Un’altra grande invenzione che ha rivoluzionato la cultura è stata la comunicazione a distanza, da cui è nata la radio. Non era più necessario uscire di casa per ascoltare musica, notizie e storie. Ma questa storia appartiene al periodo successivo alla Prima guerra mondiale.
Radio, cinema e registrazioni musicali costituirono tra l’altro la base per l’importazione massiccia di cultura americana, fino a quel momento piuttosto sconosciuta nel Vecchio Continente, nel corso del XX secolo. Compreso il cinema che, pur essendo nato in Europa, passò ben presto (1910-1911) sotto il controllo della produzione americana.
Quali furono le cause principali di questo nuovo dominio americano? Innanzitutto i nuovi metodi di diffusione culturale (grammofono e registratore, cinema, radio, trasmissioni televisive e, in seguito, specifici generi di stampa, come i fumetti) necessitavano di imprese di grandi dimensioni e di stampo capitalista, proprio come quelle che si stavano sviluppando negli Stati Uniti.
In secondo luogo la dimensione del mercato americano alla fine dell’800 era molto maggiore di quella dei singoli stati europei. Il mercato interno bastava a coprire i costi e ciò consentiva poi di procedere sui mercati esteri partendo da una posizione di forza. Terza ragione: il prestigio crescente degli Stati Uniti come terra della modernità, del nuovo, del futuro, terra delle possibilità e dell’individualismo.
Soprattutto però l’elemento determinante fu che negli Stati Uniti non esisteva una cultura nazionale d'élite come quella che si era sviluppata nel corso del XIX secolo in Europa. Infatti, i consumatori culturali americani erano immigrati relativamente recenti; per avere successo nel mercato statunitense occorreva soddisfare i gusti più disparati, caratteristici di persone provenienti da diversi Paesi: bisognava vendere agli irlandesi come ai polacchi, agli ebrei come agli italiani. Il prodotto di successo era, dunque, già un prodotto transnazionale, oggi diremo global, molto più adatto a competere sul mercato mondiale di quelli provenienti dai vari stati europei.
Più che mai l'America proiettava un'immagine di modernità ma, ancora nel 1900, non aveva ancora trovato le sue forme culturali caratteristiche. Prima del 1920 gli americani contavano ancora poco nel settore della culturale globale: senza grandi cantanti o compositori di canzoni, senza opera lirica, pochi compositori di musica ‘seria’, quasi nessun drammaturgo popolare e solo qualche scrittore di fama internazionale. Con qualche eccezione: ‘L'ultimo dei Mohicani’ (The Last of the Mohicans) di James Fenimore Cooper (1826), ‘La Capanna dello Zio Tom’ di Harriet Beecher Stowe (1852), il ‘Ben Hur’ di Lew Wallace (1883) e alcuni romanzi di Mark Twain come ‘Le avventure di Huckleberry Finn’.
Tutto cambiò nel XX secolo. Con il cinema di Hollywood, le canzoni pop e la televisione gli americani conquistarono il villaggio globale della cultura di massa.
Una volta vi era una comune cultura aristocratica internazionale: tutti gli appartenenti a questa alta cultura erano a conoscenza di una gamma molto limitata di prodotti culturali. Poi, nel XIX secolo, ci fu la grande avanzata della cultura borghese. Nel XX secolo, il secolo americano, il cinema, la musica registrata, la stampa popolare, la radio tascabile a buon mercato e soprattutto la televisione crearono una cultura di massa le cui radici sono appunto negli anni 1880-1920.
Non c’è motivo di lamentarsi per tale situazione, come non c’era motivo di lamentarsi per il cosiddetto imperialismo culturale di un passato recentissimo. La fine di alcune esperienze culturali, di alcuni temi o di alcune forme può essere motivo di rimpianto, ma è già accaduto prima e il mondo è andato avanti così come continuerà ad andare avanti, nel bene e nel male.
Lascio i verdetti e i giudizi ai moralisti, ai quali spetta il compito di decidere se la cultura di oggi è peggio di quella che l'ha preceduta. L'attività degli storici è più complessa: si tratta di fare una mappa del passato, dando prospettiva al presente. Decidere quale cultura sia bella o brutta è una questione che riguarda tutti gli esseri umani, una categoria che comprende gli storici e che non esclude nessuno.
Tutto quello che so è che senza cultura, sia essa alta o popolare, senza ‘Anna Karenina’ ma anche – se posso osare dirlo – senza ‘Cinquanta sfumature di grigio’, sarebbe un mondo ancora più selvaggio di quello che ora ci sta di fronte.
Donald Sassoon