SOCIETÀ
Nepal: un ricordo oltre il terremoto
I soccorsi dopo il terremoto in Nepal. Foto: Reuters/Adnan Abidi
Sono passati 10 giorni da quando la terra ha tremato, lasciando una scia di macerie in Nepal: uno dei paesi più affascinanti e poveri al mondo (690 dollari pro capite nel 2012). Gli aiuti sono difficilissimi, e intanto stime parziali dicono che probabilmente ci saranno più di 10.000 morti. Un dramma che commuove e sembra mobilitare il mondo intero, compresi gli storici rivali India e Cina, che da anni si battono per l’influenza sulla regione.
Il Nepal è però anche e soprattutto uno paese straordinario, da tempo immemorabile punto di incrocio di culture, lingue e di religioni. Qui l’università di Padova svolge da oltre 20 anni diversi progetti di ricerca: “Frequentiamo il Nepal dal 1992: tutto è nato dalla collaborazione con il Cnr, che a quota 5.050 metri sul versante nepalese dell’Everest ha da tempo installato il laboratorio-piramide, frequentato anche dai nostri ricercatori – racconta Gianumberto Caravello, docente emerito di igiene ambientale e tra i veterani nelle relazioni con il paese asiatico –. In un primo momento ci è stato chiesto di analizzare il livello di inquinamento delle acque superficiali, dove si accumulano tutte le contaminazioni presenti nel territorio: un po’ come il sistema circolatorio per il corpo umano. Al Cnr erano interessati soprattutto a misurare l’impatto turistico sul territorio, già allora abbastanza inquinato, soprattutto per quanto riguardava il cammino dell’Everest”. In seguito nel 2003 l’ateneo ha preso contatti anche con l’università di Tribhuvan a Katmandu, concludendo una convenzione che prevede lo scambio di studenti e dottorandi.
Oggi Caravello dice che conoscere il Nepal e i suoi abitanti gli ha cambiato la vita: “Mi ha fatto vedere il mondo in modo completamente diverso. Mi ha fatto capire che si può vivere con poco ed essere sereni. Persino felici. Nonostante la povertà, dimostrano una grande gentilezza e simpatia, sono molto accoglienti”. Oggi il Nepal è un paese complesso, abitato da oltre 50 etnie e due religioni principali, induismo e buddismo, che “a Katmandu convivono molto pacificamente: spesso anzi ogni fedele usa anche i templi dell’altra religione. Del resto i nepalesi sono molto tolleranti: sono gli stessi luoghi che invitano alla riflessione, un’atmosfera quasi mistica permea le montagne e le foreste. Da questo forse deriva anche la grande forza dei nepalesi che, ne sono sicuro, si riprenderanno anche da questa tragedia. Non si tratta di fatalismo, semplicemente anche il male viene accettato come uno degli aspetti della vita”.
Anche Federica Poletti, 25 anni, una laurea in filosofia ottenuta frequentando la Scuola Galileiana, ricorda con commozione la sua esperienza in Nepal nel 2012, durata quattro mesi presso l’istituto Dante Alighieri. “Quando ho visto le prime immagini dopo il terremoto ero incredula; quando vivevo nella zona sud di Katmandu passavo ogni giorno vicino a moltissimi dei monumenti crollati: Durbar Square, il tempio delle scimmie, fortunatamente crollato solo in parte… Ogni sabato andavo anche a Bhaktapur, la cittadina medievale dove Bernardo Bertolucci ha girato Il piccolo Buddha. Adesso è tutto distrutto. Una tragedia nella tragedia: oggi il Nepal vive soprattutto di turismo, se i monumenti crollano e le montagne non sono più sicure il paese intero rischia la fame”. Federica, che oggi lavora in Italia, in un’azienda che si occupa di energie rinnovabili, porta ancora un bel ricordo della sua esperienza: “Katmandu è una città incredibile: ovunque bellezza e cultura meravigliosa, ma anche tanto traffico. Una mescola di tante cose, ma vitale e accogliente. E tutto sommato anche abbastanza sicura: io straniera di 22 anni non ha mai avuto problemi a muovermi da sola”.
Durante la permanenza Federica ha anche trascorso un periodo nell’interno del paese, collaborando a una ricerca condotta dall’università di Padova sulla popolazione Sherpa: “Nei villaggi mi hanno chiamata ‘la ragazza dello sputo’, visto che raccoglievo campioni di saliva” scherza oggi Federica. “Le persone non erano spaventate da noi, e per la verità neanche troppo interessate. L’ospitalità era comunque spettacolare: in qualsiasi posto tu vada, città o montagna, che tu sia turista o del posto, ti offrono del dolcissimo tè al latte”. Oggi purtroppo anche i posti visitati da Federica sono in condizioni drammatiche: “Credo che il problema principale sia quello di far arrivare gli aiuti nei villaggi: anche la Valle del Khumbu è stata colpita pesantemente ma l’unico aeroporto vicino, quello di Lukla è uno dei più pericolosi e scalcagnati al mondo, in tutto il paese ci sono appena otto elicotteri. Le stesse autostrade, come vengono chiamate, spesso sono in realtà strade malmesse che costeggiano burroni, e la maggior parte credo sia quasi inutilizzabile”.
Anna Milvia Boselli, biologa, docente di igiene e legislazione sanitaria, ha un rapporto molto più lungo e continuo con il Nepal: “Ci sono stata 14 volte negli ultimi 23 anni, l’ultima appena 2 mesi fa: eravamo andati con i professori Masi e Martin proprio per rilanciare la cooperazione scientifica con l’università Tribhuvan”. Quali sono le notizie che arrivano in questo momento? “La situazione è difficilissima. Gli edifici dell’università hanno subito danni ingenti e resteranno chiusi fino al 4 giugno, da quello che sappiamo però dovrebbero essere rimasti in piedi: nessuno studente ha perso la vita. Ci dicono che anche negli ospedali c’è bisogno di tutto”. Alle difficoltà dei soccorsi si aggiunge anche il pericolo di epidemie: “A causa della mancanza di una rete fognaria adeguata e di sistemi di depurazione, già prima del sisma l’acqua era imbevibile, sia a Katmandu che nei villaggi. Per questo come università di Padova avevamo già portato nei villaggi circa 20 impianti di purificazione, ad uso sia della popolazione che dei turisti: sulla via dell’Everest vengono infatti abbandonati ogni anno circa 46.000 chili di rifiuti in quota, la maggior parte proprio bottigliette di acqua”.
Per dare un aiuto concreto Anna Milvia Boselli ha anche guidato la costituzione di un comitato a cui partecipano Acli, Enaip e altri soggetti del terzo settore: “Puntiamo soprattutto sulla ricostruzione, dato che per gestire l’emergenza si stanno già muovendo istituzioni internazionali come Onu, Unicef e Croce Rossa. Sono state danneggiate anche case, ponti, strade, templi e gran parte del patrimonio artistico e culturale. Il Nepal è un paese straordinario, dove in 160 chilometri si passa dalla giungla alle vette più alte del mondo, ma è anche un paese poverissimo. Vogliamo solo dare una mano ai nepalesi, altrimenti per loro rialzarsi sarà molto difficile”.
Chi desidera sostenere il progetto può contattare la studiosa (e-mail: boselliam@gmail.com), oppure effettuare direttamente una donazione (Iban: IT68V0503412100000000008747, conto Banco popolare veneto intestato a “Comitato di solidarietà Nepal”, causale: “Contributo vittime terremoto Nepal”).
Daniele Mont D’Arpizio