CULTURA

Addio Bertolucci, ultimo imperatore

La morte di Bernardo Bertolucci segna la fine di quell’ultima grande ondata di autori del cinema italiano formatasi tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Nato in un contesto di straordinaria vitalità, il suo cinema ha saputo guardare alla forza innovatrice del Neorealismo italiano, Visconti su tutti, ma anche alle impetuose forme espressive della Nouvelle Vague francese. Sotto l’egida di Pasolini, Bertolucci ha firmato nel 1962 la sua opera d’esordio, La commare secca, ambientata nelle borgate romane, fra i ‘ragazzi di vita’, e il cui titolo allude al modo in cui nel dialetto romanesco si evoca proprio la morte. Ma quel “senso di morte” ispirato dalla poetica pasoliniana è divenuto in seguito uno dei fattori caratterizzanti dell’opera di Bertolucci, profondamente legata ad una riflessione di natura esistenziale. Il successivo Prima della rivoluzione non solo racconta l’affetto e il disincanto del regista per la sua Parma, ma racconta anche la fine di un mondo, con il ripiegamento del suo protagonista verso una realtà borghese e allineata.

I primi anni settanta portano Bertolucci a maturare uno stile personale, colto, intellettuale. Il libero adattamento da Borges per Strategia del ragno e quello, più aderente, da Moravia per Il Conformista, oltre a rappresentare due straordinari esempi di cinema, anticipano il film che più di ogni altro saprà costruire un’immagine indelebile di Bertolucci nella storia del cinema: Ultimo tango a Parigi, con Maria Schneider e Marlon Brando, diverrà esempio di ribellione, di passione, di scandalo, di anticonformismo, di sguardo in cui il desiderio si trasforma in furore. Verranno in seguito l’epopea di NovecentoLa luna, le grandi produzioni americane del Piccolo Buddha e di Io ballo da sola, sino al recente e delicato Io e te, a chiudere un percorso impetuoso e raffinato come pochi.

 

Il ricordo personale che più di ogni altro si lega a Bertolucci ha invece a che fare con il primo film d’autore che ebbi modo di vedere. Avevo dieci anni quando, nel dicembre del 1989, Rai1 programmò due serate evento per festeggiare i nove Oscar vinti da Bertolucci proiettando la versione estesa de L’ultimo imperatore. Impossibile per me dimenticare le immagini che mostrano Pu Yi, un bambino di appena tre anni, nel momento in cui fa il suo ingresso tra le mura della Città Proibita per divenire, di lì a poco, il nuovo imperatore della Cina. 

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