CULTURA

Biennale Cinema, un portale con gli inediti della Mostra

L’esplosione dello streaming per sopperire alla chiusura delle sale ha moltiplicato la propensione al consumo di cinema casalingo, una tendenza già consolidata da tempo: i cinema rischiano ormai di diventare piccoli templi per cinefili irriducibili e non l’unica modalità per accostarsi alle opere cinematografiche nella loro pienezza. Ma il boom dello streaming ha anche aperto le porte a un diluvio di film che, in passato, sarebbero rimasti invisibili alle platee mondiali. E questo non riguarda solo autori e cinematografie minori: a non trovare distribuzione sono, spesso, opere premiate dalla critica, anche di registi celebrati. È impossibile non pensarci di fronte a un’iniziativa come Biennale Cinema Channel, il nuovo portale streaming della Biennale veneziana, nato con due scopi: individuare uno spazio permanente per la Sala Web, la selezione di film della Mostra che viene offerta online al pubblico in contemporanea con le proiezioni al Lido; e, soprattutto, creare un primo embrione di archivio streaming di quell’immenso patrimonio filmico presentato, anno dopo, anno, alla rassegna veneziana e mai apparso nelle sale del nostro Paese.

Un progetto importante, ad accesso non gratuito (i film sono scaricabili con abbonamenti a pagamento) ma che ha l’enorme merito di disseppellire un primo, limitato gruppo di opere inedite eppure di grande rilievo. Biennale Cinema Channel al momento propone 39 film internazionali selezionati tra le opere in concorso, fuori concorso o della sezione Orizzonti presentate nelle edizioni della Mostra degli ultimi tredici anni, dal 2008 in poi. Tra i registi ci sono, ad esempio, Amos Gitai con Rabin: The Last Day e Laila in Haifa; Atom Egoyan con Guest of Honor; Benoît Jacquot con À jamais. Solo un assaggio, per adesso, ma la speranza è che si tratti del primo passo verso la creazione di un vero archivio (a prezzi che si spera non lieviteranno) che permetta di riscoprire tanti tesori dimenticati della Mostra, e non solo delle edizioni recenti.

Tra i lavori presenti in questa avanguardia, scegliamo di parlare di Penance, miniserie tv nata per un canale giapponese per la regia di Kiyoshi Kurosawa, uno dei registi nipponici di maggiore talento nell’horror e nel crime. Presentata a Venezia nel 2012 in una versione di quattro ore e mezza, è un grandioso thriller psicologico, i cui cinque episodi prendono vita, e si dipanano, intorno all’interpretazione perfetta di Kyōko Koizumi nel ruolo di Asako, madre vendicatrice di Emili, uccisa da bambina da un killer misterioso davanti a quattro piccole compagne di classe. La vendetta di Asako inseguirà, quindici anni dopo, proprio le quattro compagne di Emili, divenute giovani donne: incapaci, tutte, di superare il trauma dell’infanzia e la promessa di Asako di punirle per non aver impedito il delitto né aiutato a trovare l’omicida. Il film si articola appunto in quattro parti, a seguire l’impossibile espiazione di ciascuna delle ragazze, più l’epilogo, in cui l’intreccio di enigmi trova scioglimento.

Thriller psicologico per eccellenza, si diceva. Nella narrazione di Kurosawa, il fatto di sangue iniziale (l’uccisione della bambina) conta soprattutto come chiave per addentrarsi nelle pieghe dell’anima e della psiche delle protagoniste, segnate a vita dall’omicidio e dall’incapacità di gestirne il ricordo: una ferita che impedirà a tutte un’esistenza normale, guidandole verso un destino tragico, a compiere la vendetta di Asako. Una condanna che le donne non rifuggono, anzi, accettano come giusta e inesorabile. Così Sae, che lavora in un salone di bellezza, si lascia convincere a un matrimonio basato sul feticismo e la schiavitù psicologica; Maki, insegnante, cerca e trova un’occasione in cui sfogare la sua rabbia repressa in un atto di violenza estrema; Akiko, alienata nullafacente, sventa un crimine verso una bambina colpendo l’unica persona per cui prova affetto; Yuka, fioraia, sfoga la sua frustrazione passando da un uomo all’altro e intraprendendo una relazione distruttiva con il marito della sorella. Si compie così il disegno di Asako, la condanna delle quattro donne a un malessere esistenziale permanente, con esiti catastrofici, quasi più autoindotto che provocato dalla madre vendicatrice. La quale, come si capirà in un epilogo ricchissimo di colpi di scena, è tutt’altro che incolpevole, ed è ugualmente in cerca di espiazione.

La vastità del respiro narrativo di Penance consente a Kurosawa di costruire quattro ritratti indimenticabili di donne ferite per sempre, e di introdurci, passo dopo passo, nella loro dimensione patologica. Se le giovani interpreti sono all’altezza di ruoli gravosi, basati su ambiguità e malesseri che affiorano con uno sguardo, l’alfa e omega dell’affresco è la Asako di Kyōko Koizumi, impeccabile nel creare un personaggio capace di esprimere vette di crudeltà e sofferenza senza mai scomporsi o alzare la voce, elegante e seduttiva quanto priva di esitazioni nel condannare le colpevoli. Quanto all’intreccio, tratto da un romanzo di Kanae Minato, non mancano i colpi di teatro e la tensione altissima: ma al centro di Penance non c’è un crimine, né la ricerca dell’assassino, ma l’esplorazione dell’animo umano, e di quanto l’oscurità possa essere in agguato in ciascuno di noi.

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