SOCIETÀ

Cosa sappiamo di piazza Fontana, cinquant’anni dopo

Alle 16:37 del 12 dicembre 1969, la sede milanese della Banca Nazionale dell'Agricoltura viene sventrata da un’esplosione. È la strage di piazza Fontana, 17 morti e 88 feriti: il più grave attentato terroristico dopo la fine della guerra e l’inizio degli anni di piombo, ma anche di quella che poi sarà chiamata la strategia della tensione, segnata da episodi come la strage di piazza della Loggia (28 maggio 1974) e la strage del treno Italicus (4 agosto 1974), per arrivare alla strage di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti).

Personalmente non amo in modo particolare l’espressione ‘anni di piombo’, anche se è efficace – dice a Il Bo Live lo storico Carlo Fumian, direttore del Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea –. Oltre al piombo infatti ci fu anche il tritolo: decine di attentati, se consideriamo anche quelli mancati (…) Allo stesso modo non trovo condisibili come ‘stragi di stato’, che furono usate dagli stessi terroristi neri per difendersi, e ‘servizi segreti deviati’, che in realtà non erano affatto deviati ma agivano su preciso mandato di qualcuno”.

Guarda l'intervista completa a Carlo Fumian

L’attentato di Piazza Fontana non fu isolato né in un certo senso inatteso: tutto il 1969 era stato punteggiato da attentati dinamitardi, a cominciare da quello che a Padova il 15 aprile devastò lo studio del rettore Enrico Opocher. 10 giorni più tardi, festa della Liberazione, una bomba esplose presso lo stand Fiat della fiera campionaria di Milano causando 20 feriti, e nello stesso giorno venne devastato l’ufficio cambi della stazione. Il 12 maggio ad essere colpiti furono i palazzi di giustizia di Roma e di Torino, mentre tra l’8 e il 9 agosto si registrarono dieci attentati sui treni in altrettante località del centro e del nord Italia, che fecero complessivamente 10 feriti. Lo stesso 12 dicembre, oltre a quello di piazza Fontana, si verificarono altri quattro attentati: tre a Roma (uno alla filiale Bnl in via san Basilio, che ferì 14 dipendenti, e due all’Altare della Patria), e un altro a Milano, presso la Banca Commerciale di piazza della Scala, dove l’ordigno rimase inesploso.

Una ragnatela di violenza e di sangue si spiega giorno dopo giorno su tutto il nord Italia. Ma chi è il ragno? Come è noto tra i primi sospettati c’è Pietro Valpreda e gli altri anarchici del circolo romano “22 marzo”. Il seguito è una storia di trentacinque anni di indagini e depistaggi. I principali imputati per l’attentato, i padovani Franco Freda e Giovanni Ventura, appartenenti al gruppo neofascista Ordine Nuovo, vennero assolti nel 1987 per insufficienza di prove; successivamente nel 2005 la Cassazione ricostruì le loro responsabilità nella vicenda, dichiarandoli allo stesso tempo non più imputabili in quanto già processati e assolti per lo stesso reato.

Non solo piombo: in quegli anni ci fu anche il tritolo

Una vicenda quindi complessa dal punto di vista giudiziario, anche se secondo Carlo Fumian è scorretto continuare a parlare di misteri: “Negli ultimi 50 anni molto è stato portato alla luce, sia dal punto di vista dei risultati processuali che dell'analisi storica. Oggi sappiamo benissimo chi è stato: le bombe furono messe dal gruppo veneto di Ordine Nuovo di Freda e Ventura, che si è macchiato anche di altri gravissimi crimini e stragi. Basta vedere il processo della strage di Brescia, che si è concluso con l’ergastolo a Maggi e Tramonte, uomini rispettivamente di Ordine Nuovo e dei servizi segreti”.

Anche sul movente ormai le idee sono sempre più chiare: “La ricostruzione storica oggi ci suggerisce di ripensare a quel periodo senza sottovalutare la potenza della variabile anticomunista. In quegli anni all'interno del mondo politico, di quello dei servizi e dei vari fronti extraparlamentari di estrema destra, riuscire a sconfiggere il comunismo era più importante di difendere la costituzione”.  Quella che rimane in parte ancora avvolta nell’ombra sono i contorni e i dettagli della strategia: “L'unico modo per celebrare in modo non rituale la strage di piazza Fontana sarebbe che lo Stato dicesse finalmente tutto ciò che al suo interno avvenne in ragione di questa strategia di ‘guerra non ortodossa’ al comunismo. Al momento però non lo vedo molto probabile”.

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