CULTURA

Goldoni e Il teatro comico, la vita oltre la maschera

In tempi di Covid il teatro si riorganizza, e i suoi esponenti provano a resistere unendo le forze. Un esempio è Il teatro comico di Carlo Goldoni, visto in prima nazionale al Teatro Romano di Verona. Un allestimento che nasce dalla collaborazione di sei compagnie teatrali venete (Ensemble Teatro Vicenza, Pantakin, Tam Teatromusica, Teatro Scientifico - Teatro Laboratorio, Theama Teatro, Tib Teatro) che, in coproduzione con lo Stabile del Veneto, hanno puntato su un testo goldoniano fondamentale ma poco rappresentato: l’opera in cui l’autore dei Rusteghi riassume la sua riforma e ne enuncia le basi teoriche, esprimendole, da vero uomo di teatro, non nella prosa di un saggio, ma direttamente in una commedia che presenta al pubblico una compagnia impegnata a ripensare il proprio lavoro e rivedere i propri orizzonti drammaturgici.

Trama ingegnosa ma necessariamente ricca di momenti didascalici: il personaggio di Orazio, il capocomico che, con il dialogo e il ragionamento, si sforza di abituare gli attori a un nuovo teatro, che superi il lascito della commedia dell’arte e ridimensioni il ruolo delle maschere, dà voce alla poetica goldoniana, che rende quest’opera il manifesto e la summa delle sedici commedie nuove con cui, nel 1750, il grande veneziano ribadisce il valore del testo scritto sull’improvvisazione, dello studio naturalistico dei caratteri sulla fissità tradizionale delle maschere, della modernità degli intrecci sull’eredità dei canovacci.

Opera quindi necessaria, ma dominata dai precetti e dalle trovate di Orazio, vero deus ex machina che muove tutto l’impianto metateatrale. La trama di base è la prova, da parte della compagnia, di una farsa basata su maschere e intrighi amorosi, ma questa viene continuamente alternata all’enunciazione dei princìpi della nuova commedia goldoniana, risultato che Orazio ottiene in due modi: da un lato con i frequenti dialoghi e soliloqui in cui spiega, con garbo e misura, l’ineluttabilità della riforma (ma non mancano i precetti morali che riguardano l’integrità, la modestia e l’onestà dei teatranti, e perfino la condotta del pubblico in sala); dall’altro con un trucco con cui Orazio inganna i propri colleghi, simulando un incontro fortuito con un mediocre e ampolloso autore di commedie, Lelio, che lascerà poi il posto a una modesta cantante, Eleonora: per poi svelare che i due sono la stessa persona, una teatrante amica di Orazio che si è prestata, per suo conto, a una rappresentazione per spiegare alla compagnia, ancora una volta con tecnica metateatrale, quanto il vecchio stile sia ormai da dimenticare, e sia giunto il momento di rinnovarsi.

L’allestimento di Eugenio Allegri (scene di Licia Lucchese, audiovideo Alessandro Martinello, aiuto regia Alessia Donadio) punta sull’evocazione di una sala teatrale di cui compaiono gli elementi essenziali: un velo-sipario, una pedana-palco, il cantuccio del capocomico-demiurgo. A completare il quadro, due schermi sovrapposti su cui, in apertura, si proiettano immagini della Venezia passata e presente (il rogo della Fenice ci ricorda, amaramente, le difficoltà di tutto il mondo teatrale di fronte alla pandemia). Le musiche inframezzano l’azione con brevi stacchi di clavicembalo. Ma in generale gli effetti visivi o sonori sono estremamente parchi, perché la scena è nelle mani di Giulio Scarpati, cui è demandato il compito difficile di incarnare un alter ego goldoniano autorevole ma brioso, affettuoso ma severo, un vero padre di famiglia che conduce i propri comici, con benevolenza e fermezza, a sposare le ragioni della riforma.

Scarpati è, per misura e naturalezza dei toni, attore adeguato al ruolo, e se qualche incertezza è ancora presente sulla scorrevolezza della dizione, verrà superata nel corso delle repliche. Tra i comprimari, spiccano la primadonna Placida, irosa al punto giusto, e il Pantalone Tonino, impeccabile nella dizione e nella vis comica. La compagnia, in generale, conferisce vivacità a un testo più prezioso che trascinante. Una scelta di produzione non semplice, che speriamo di buon auspicio nel rappresentare, ora e in futuro, la simbiosi tra teatro e vita.

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