È rimasta per secoli dimenticata in un archivio londinese prima di riemergere grazie ai ricercatori italiani. Parliamo di una lettera originale appena attribuita di Galileo, scritta il 21 dicembre 1613 all’amico Benedetto Castelli: non una qualsiasi, ma quella in cui lo scienziato afferma per la prima volta che le evidenze scientifiche devono essere lette e interpretate indipendentemente dalle sacre Scritture. Una posizione che venti anni più tardi lo avrebbe portato alla condanna da parte dell’Inquisizione e alla famosa ritrattazione.
Intervista a Giulio Peruzzi, storico della scienza presso l'università di Padova
Il prezioso documento, riferisce Nature in un recente articolo, è stato rinvenuto lo scorso 2 agosto da Salvatore Ricciardo, ricercatore postdoc di storia della scienza presso l’università di Bergamo, mentre scorreva i documenti digitalizzati presso un la biblioteca della Royal Society (gli altri studiosi coinvolti sono Franco Giudice, sempre dell’università di Bergamo, e Michele Camerota dell’università di Cagliari). Quando Ricciardo ha notato la presenza di una firma “G.G.” in calce al testo, assieme ad alcune correzioni, ha pensato di aver trovato qualcosa di interessante.
Nella sua vita Galileo ha scritto migliaia di lettere ad amici, ammiratori e colleghi, che spesso assumevano il carattere e le dimensioni di veri e propri trattati. L’importanza del testo appena scoperto è che in esso per la prima volta lo scienziato sostiene che la ricerca scientifica deve essere libera da schemi teologici, tanto da poter essere considerato, nelle parole di Franco Giudice, “uno dei primi manifesti laici per la libertà scientifica”.
“In questa lettera Galileo assume un posizione molto moderna, dando inizio a un processo di laicizzazione e di autonomia della scienza dalla religione – spiega interpellato da Il Bo Live lo storico della scienza Giulio Peruzzi –. Se, scrive Galileo, la natura è regolata da leggi che vengono da Dio, allora bisogna leggerla con gli strumenti che abbiamo, le sensate esperienze e le scelte dimostrazioni. Se però la Chiesa si schiera contro la scienza rischia di perdere autorevolezza: proprio negli anni dal 1613 al 1616 la sua azione sarà quindi proprio nel senso di evitare la condanna del sistema copernicano da parte dell’autorità ecclesiastica. Un impegno dunque per il copernicanesimo e per la Chiesa, parafrasando il bel titolo di un libro di Annibale Fantoli”.
Fino ad oggi la lettera era nota solo attraverso alcune copie, peraltro in parte discordanti nel contenuto. Una di queste, inviata a Roma il 7 febbraio 1615 dal frate domenicano Niccolò Lorini, era stata contestata dallo stesso Galileo, secondo il quale sarebbe stata forzata nei toni per gettarlo in cattiva luce di fronte al Sant’Uffizio. L’eventuale scoperta dell’originale, che verrà presto pubblicato sul periodico Notes and Records della Royal Society, potrebbe finalmente dopo quattro secoli fugare ogni dubbio al riguardo.