Qualche settimana fa, il consiglio di Ateneo dell'università di Oxford ha comunicato che il corso di laurea in lettere classiche potrebbe subire una modifica sostanziale: si tratta della possibilità che venga eliminato lo studio obbligatorio dei classici di Omero e Virgilio dai programmi d’esame, per rendere il corso di laurea più accessibile agli studenti che non hanno studiato greco e latino. L’annuncio ha causato non poche polemiche, perché nonostante lo studio delle opere di questi grandi poeti diventerebbe facoltativo, e non sparirebbe quindi del tutto dagli insegnamenti, sarebbe possibile, per uno studente, laurearsi in lettere classiche senza averne letto neanche una riga, come argomenta l’Oxford student.
Se è giusto che l'istruzione rispetti il suo dovere di adeguarsi ai tempi ed essere accessibile a più studenti possibile, non è così scontato che per adempiere a questo compito debba “abbassare il livello”. È davvero questa la soluzione migliore per eliminare le disuguaglianze e appianare il gap tra studenti che hanno avuto la possibilità di frequentare scuole esclusive, che comprendessero lo studio del greco e del latino, e quelli che non hanno avuto questo privilegio? Qual è, insomma, il modo di far convivere la giustizia sociale e la meritocrazia nell'istruzione accademica?
Ne abbiamo parlato con il professor Mino Conte, docente di filosofia dell’educazione all’università di Padova.
“La notizia è particolarmente interessante perché ci troviamo ancora una volta davanti a un “sintomo” che rimanda a temi di più ampia portata”, commenta il professore. “È abbastanza paradossale che un corso in lettere classiche elimini Omero e Virgilio, sarebbe come organizzare un corso di filosofia antica ma senza rendere obbligatorio lo studio di Platone e Aristotele, per non svantaggiare nessuno. La questione, insomma, è paradossale.
Sebbene non sia certo un marchio d’infamia non aver studiato greco e latino, laureare una persona in lettere classiche senza fargli vivere l'esperienza di due opere fondamentali risulta discutibile. A lungo andare, continuando ad apportare modifiche del genere, il corso rischierebbe di diventare qualcosa che non è, cambiando radicalmente natura. Avrebbe ancora quel nome, ma non sarebbe più tale.
Inoltre, chi si laureasse, sarebbe consapevole di aver acquisito un titolo di livello abbassato? Non sarebbe particolarmente gratificante, perché verrebbe di fatto conferito un titolo che è lo stesso da secoli, che porta ancora quel nome, ma che non sarebbe più tale, e che rischierebbe di porre uno studente laureato a Oxford nell’imbarazzante condizione di non saper rispondere a domande su Omero e Virgilio”.
“Si va incontro a ragioni che non hanno nulla o poco a che vedere con temi di carattere formativo", continua il professor Conte. "Perché creare percorsi formativi che di volta in volta abbassino gli standard? Conviene di più alla società avere tanti laureati in lettere che hanno una minore preparazione sui classici oppure avere un numero ragionevole di persone che però hanno maturato le competenze previste? Siamo di nuovo dinanzi a esigenze che derivano da una logica di mercato: aumentare la platea dei potenziali fruitori, e quindi vendere il corso di laurea a più persone possibili, anche al costo di snaturarlo”.
Il motivo per cui vengono prese in considerazione queste modifiche sembra essere quello di voler rendere più accessibile un corso di laurea che ha la fama di essere troppo elitario.
“Si tratta certamente di un punto centrale e molto difficile da trattare”, spiega il professor Conte. “L'aspetto di giustizia sociale sta nel fatto che ciò dovrebbe accadere indipendentemente dalle condizioni familiari e sociali di partenza. Una società giusta o democratica dovrebbe rendere possibile al talento di ognuno di esprimersi a prescindere dalle origini sociali.
Lo spirito del tempo, inoltre, sembra tradire un certo populismo antintellettuale, come se l’ambizione umana di perfezionare la propria cultura e migliorare il più possibile la propria capacità di leggere il mondo sia qualcosa da guardare con sospetto. Lo stesso attributo di “elitario” potrebbe essere rivisto e non accolto soltanto nella sua accezione negativa. A tutti dovrebbe essere possibile accedere a un’educazione elitaria, nel senso che favorisce il massimo potenziamento possibile delle capacità di ciascuno”.
Insomma, più che a semplificare i contenuti, si potrebbe piuttosto pensare a come alla élite possano accedere tutti, e non solo chi ha una predestinazione sociale. È odiosa l’élite quando si riproduce di padre in figlio, quando la professione viene tramandata, quando si autoriproduce su schemi basati non sul talento e sul merito, ma sulla predestinazione sociale. Quella è l’élite negativa, ma ce n’è anche una buona, quella che si forma in modo democratico e ispirato al senso di giustizia sociale. E il poterne far parte dovrebbe essere destinato a tutti”.
Per questo motivo, non è certo semplificando i contenuti che si aiutano gli studenti più svantaggiati; al contrario, “abbassare il livello nuoce, paradossalmente, soprattutto agli svantaggiati, che non si troveranno nelle condizioni di poter mettere in gioco una preparazione tale da renderli più competitivi rispetto ai privilegiati”, aggiunge il professor Conte.
“Costruire profili più deboli significa formare persone che difficilmente potranno ambire a posizioni più alte senza avere la predestinazione sociale. L'idea che viene meno è quindi anche quella di un’istruzione davvero formativa che ponga al centro i contenuti culturali come tali, e questo non per una élite, ma per tutti.
Abbassare il livello è insomma un’idea pericolosa di democraticizzazione: rendere tutto più facilmente accessibile da essere fruibile a più persone possibili rafforza le differenze di classe, perché i privilegiati lo saranno sempre, mentre gli altri perdono la loro “grande occasione”. L'istruzione dovrebbe essere un’occasione di riscatto, ma non per vie “semplificate”. Gli insegnanti non devono essere facilitatori dei processi di apprendimento; al contrario, è giusto che trasmettano dei contenuti abbastanza complessi in modo tale da ampliare l’orizzonte cognitivo attuale dello studente. Altrimenti, quella che viene data è semplicemente l’illusione del sapere, senza in realtà possederlo”.