SOCIETÀ

Rapporto Censis 2021: il rifiuto della scienza in Italia sembra essere solo a parole

Un anno fa ci eravamo lasciati con una visione del Paese fortemente diviso. La spaccatura più grande ed evidente era quella riguardante il lavoro. Una netta recisione tra garantiti e non garantiti metteva il Paese, secondo il 54° Rapporto Censis, di fronte ad una nuova categoria, quella del  “vulnerati inattesi”, cioè gli imprenditori dei settori della ristorazione, i commercianti, gli artigiani, e i professionisti rimasti quasi senza incassi e fatturati. Un anno fa poi, la crisi economica derivante da quella sanitaria sembrava aver colpito principalmente due le categorie: i giovani e le donne. Nel terzo trimestre 2020 erano stati 457.000 i posti di lavoro persi da queste due categorie, cioè il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro).

In un anno il Mondo è nuovamente mutato, la speranza data dai vaccini si è tramutata, nel nostro caso, anche in crescita economica. Un respiro di sollievo necessario per ricucire strappi fin troppo evidenti all’interno del Paese. “Eppure - si legge nel Rapporto Censis 2021 -, all’allentarsi della pressione dell’emergenza, non si sentono soltanto sospiri di sollievo o echi di esultanza, ma anche mugugni, lamentele, accuse, risentimenti”.

 

La crisi economica derivante da quella sanitaria ha colpito principalmente due le categorie: i giovani e le donne

I mugugni di cui parla il Censis sono quelli legati all’irrazionalità. Il Paese infatti, secondo il report, si sarebbe scoperto per la maggior parte unito e convinto che l’unica via d’uscita reale dalla pandemia possa essere data dai vaccini, ma per un’altra piccola parte sembra avere un’anima antiscientifica e irrazionale.

L’irrazionalità porterebbe a pensare, per il 31,4%, che il vaccino sia un farmaco sperimentale e che gli italiani stiano facendo da cavie. L’inutilità dei vaccini poi sarebbe certa per il 10,2% e il 12,7% penserebbe che la scienza stia arrecando più danni che benefici. A onor del vero però è necessario confrontare l’analisi del Censis con quello che sta realmente accadendo nel Paese. La percentuale di persone vaccinate con almeno una dose in Italia ad oggi (giovedì 9 dicembre 2021) è dell’80,05%. Questo considerando l’intera popolazione, mentre se prendiamo in considerazione solamente la platea dagli over 12 in poi, la percentuale cresce fino a superare l’87% dei parzialmente vaccinati e quasi l’85% per coloro i quali hanno completato il ciclo. In più bisogna considerare che più di 9 milioni di persone hanno già ricevuto anche la dose addizionale.

 

Insomma un’irrazionalità che però nella realtà non sembrerebbe tramutarsi in rifiuto totale del vaccino. Un sentimento quindi che il Censis stesso prova a spiegare con il fatto che “la realtà razionale tradisce sempre più spesso le aspettative soggettive che essa stessa ha alimentato”. Tradotto in termini concreti potremmo dire che la costante bassa crescita economica, l’aumento del debito pubblico e “una diffusa insoddisfazione sociale” farebbe ricusare il paradigma razionale.

Tutti fattori poi, che contribuiscono anche ad alzare la percentuale degli italiani che credono che nel nostro Paese si vivesse meglio in passato rispetto ad ora. Anche in questo caso il Censis analizza le motivazioni di questi due terzi di popolazione e riscontra che, almeno dal punto di vista economico, l’affermazione non è del tutto infondata. “Il Pil dell’Italia era cresciuto complessivamente del 45,2% in termini reali nel decennio degli anni ’70 - si legge nel rapporto -, del 26,9% negli anni ’80, del 17,3% negli anni ’90, del 3,2% nel primo decennio del nuovo millennio, dello 0,9% nel decennio pre-pandemia, per poi crollare di quasi 9 punti percentuali nel 2020”. Insomma “lavorare in Italia rende meno rispetto a trent’anni fa e siamo l’unica economia avanzata in cui ciò è avvenuto“.

Il 51,2% degli italiani crede che non avremo più il benessere e la crescita economica del passato

Questi sono tutti fattori che incidono sull'umore e sulle sensazioni degli italiani ma che però non possono da soli spiegare il dato, o meglio i dati, usciti dall’indagine Censis per quanto riguarda la fiducia nei confronti della scienza o dei vaccini.

Quello che si può intuire però dal rapporto, è che il periodo che stiamo vivendo rappresenta un passaggio cruciale, spiegato con un vocabolo ben preciso: transizione. È proprio “transizione” la parole d’ordine di questo tempo, in quanto il Censis stesso rifiuta di parlare di “crisi”. "Transizione" significa che il momento peggiore sembra essere passato. La pandemia ci insegna che le certezze sono sempre a breve termine, ma su una cosa dobbiamo essere sicuri: da qui in avanti la transizione dovrà essere sempre più al centro dell’attenzione. Il Censis intende questa parola inserita in più contesti differenti. Il primo riguarda la transizione green, cioè “la necessità di ridurre l’impronta ecologica delle attività umane, per salvaguardare l’ambiente delle generazioni future”. La transizione però dovra essere anche digitale, il che sarà una sfida tecnologica e dell’innovazione per restare al passo con i tempi e sfruttare a pieno tutte le opportunità che la tecnologia ci può offrire, sia a livello di singoli cittadini che a livello più macro.

Il Censis poi mette al centro dell’attenzione anche quella che definisce “transizione demografica”, cioè l’inesorabile scivolamento “verso una società meno numerosa e più anziana”. Questo punto è importante in quanto nessun Paese avanzato è in ritardo quanto l’Italia, ed è necessario mettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro giovanile, il ruolo delle donne, il potenziamento dei servizi di assistenza e di protezione sociale.

 

È necessario mettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro giovanile, il ruolo delle donne, il potenziamento dei servizi di assistenza e di protezione sociale

C’è infine quella che viene definita la “transizione del lavoro, cioè il riposizionamento delle competenze in uno scenario produttivo e dei servizi radicalmente mutato”.

Per uscire dalla crisi, che sia economica o sociale, è necessaria una coscienza collettiva. Da anni analizziamo ciò che il Censis mette in luce con il suo rapporto annuale e, anche al netto della pandemia che ha indubbiamente modificato le vite di tutti noi, in Italia mancava già quella che potremmo definire una “coscienza di coscienze”, cioèquella capacità “ di guardare dall’alto e lontano quel che la società chiede o attua”. Senza quest’abilità il Paese rimane prigioniero delle sue enormi fragilità.

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