CULTURA

Restituire la città alla città: la sfida dell’urbanizzazione

Che cosa ci è capitato? Come è possibile che noi, gli europei, i mediterranei, gli inventori della città, abbiamo dimenticato l’essenziale? Come e quando si è rovinata la città? Mi faccio la domanda come se la poneva Santiago, il personaggio di Conversación en la catedral: “Dalla porta de La Crónica Santiago guar­da l’avenida Tacna senza amore: automobili, edifici disuguali e scoloriti, scheletri di avvisi luminosi che galleggiano nella nebbiolina, il mezzogiorno grigio. In che momento si era fottuto il Perù?”. Più avanti, lo stesso personaggio dice a sé stesso, rassegnato: “non c’è soluzione” (Mario Vargas Llosa, Con­versazione nella cattedrale, Torino 1998).

Le città sembrano essere entrate in una strada senza uscita. Ciò che le ha caratterizzate, ciò che ha dato loro e dà personalità distintiva sembra non es­sere più utile. Né gli antichi centri urbani, tanto pieni di vita e tanto necessari per lo sviluppo della vita in­dividuale e collettiva, né le strutture comunitarie, né gli strumenti socio-economici sembrano offrire una risposta alle sfide poste per il XXI secolo. Dico sem­brano, ed insisto su ciò un’altra volta ancora. Perché, infatti, quella che sembra non essere la risposta è l’u­nica risposta possibile. Perciò quello che propongo in queste pagine è di ripercorrere una parte molto importante del cammino fatto durante la seconda metà del XX secolo per poter cominciare di nuovo. La città deve ritornare alle nostre vite, se apprezzia­mo l’eredità che dobbiamo lasciare a coloro che ci seguono. La confusione del progresso ci ha portato a una specie di punto morto che fa sì che guardia­mo al nostro ambiente urbano senza amore e senza speranza. L’oggettiva bruttezza dei nostri quartieri periferici; le volumetrie inumane e, quel che è peg­gio, disumanizzanti; la “sobborghizzazione” delle nostre vite basata su una collocazione permanente in periferie spersonalizzate, isolate, mal pianificate, sono problemi con i quali ci confrontiamo, non per motivi soltanto estetici, per quanto importanti, ma per motivi pratici. La città dell’automobile, quella dei grandi viadotti, la città dei grattacieli senza scopo e delle case appaiate senza personalità affonda nelle sue proprie miserie: aria impura, tempi di sposta­mento ridicolmente lunghi, relazione conflittuale con l’ambiente naturale, iperspecializzazione di parti del territorio che le trasforma in minacce immediate di fronte a qualunque cambiamento tecnologico.

La confusione del progresso ci ha portato a una specie di punto morto che fa sì che guardia­mo al nostro ambiente urbano senza amore e senza speranza

L’abbiamo visto nella famose monotowns post sovietiche. Città create attorno ad una fabbrica ai tempi dello sviluppo industriale stalinista che un certo giorno arrivano alla data di scadenza lasciando gli abitanti in una situazione di precarietà assoluta. Nella Federazione Russa più di un 15% della popolazione vive in questa situazione (Monogoroda Rosii: Kak Perezhit’ Krizis? Mosca, Institut regional’noi politiki, 2008). Ma non è solamente il caso della Russia. L’abbiamo visto nello sguardo degli abitanti delle banlieues parigine; oppure a Detroit, una città punto di riferimento nel mondo, la mecca dell’industria automobilistica che, come se tentasse di incarnare la sua propria profe­zia, è crollata fino a trasformarsi in un esempio di città fallita. In tutti questi casi, siano essi russi, nor­damericani, ma anche indiani, cinesi, europei, lati­noamericani o africani, osserviamo che c’è una sola strada: ritornare alla città, ai suoi principi funzionali basati sulla collocazione della persona al centro della vita urbana, e valorizzare la comunità come spazio di crescita personale e collettiva. La città è l’auten­tico ecosistema umano, il suo spazio di realizzazio­ne presente e futuro, il suo ambito di generazione di opportunità. Dimenticarlo ci ha portato al punto nel quale stiamo oggi: vediamo le città come strut­ture inevitabili, ma… potremo mai liberarci dai suoi disturbi? Tutto ciò provoca conseguenze disastrose proprio sulle ragioni che giustificano la vita in comu­nità: promuovere una migliore qualità di vita, senza lasciare indietro nessuno; generare opportunità di lavoro, che significa opportunità per il presente, per il futuro e per la dignità di tutti.

Antoni Vives i Tomàs

Pubblichiamo un estratto del volume presentato oggi Restituire la città alla città. La sfida dell’urbanizzazione nel XXI secolo (Padova University Press), seconda uscita della collana Armonie composte su paesaggio e urbanizzazione, diretta da Gianmario Guidarelli e Elena Svalduz. L’autore Antoni Vives è il fondatore della società di consulenza “City Transformation Agency” che opera in tutto il mondo per progetti di rigenerazione urbana che promuovono il benessere globale della persona e il miglioramento della qualità della vita quotidiana a partire dalle risorse di cui le città stesse sono portatrici. Negli anni dal 2011 al 2015 è stato vicesindaco di Barcellona, dove ha potuto concretamente sviluppare strategie di rinnovamento smart della città.

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