Ogni cittadino italiano, in fondo in fondo, lo sa: il rischio di un nuovo lockdown è all'orizzonte. Magari le maglie saranno più larghe rispetto a marzo, ma ospedali e terapie intensive rischiano di nuovo il collasso, e il provvedimento sembra necessario. Per chi trova consolante il proverbiale "mal comune mezzo gaudio", non siamo i soli: anche gli altri paesi europei sono corsi ai ripari in seguito all'aumento dei contagi, e la commissaria europea alla salute Stella Kyriakides ha lamentato la scarsa preparazione degli stati alla crisi sanitaria generata dalla seconda ondata. Ieri, 11 novembre, la Commissione Europea ha proposto un nuovo Regolamento per la preparazione e la risposta alle gravi minacce per la salute, che tra le altre cose obbligherebbe gli stati membri a riferire la capacità del loro sistema sanitario nazionale: si cerca quindi di unire le forze per ottenere più dati, analizzare lucidamente la situazione e prendere i provvedimenti necessari per tenerla sotto controllo.
Ma questo nuovo lockdown è davvero necessario? Non è sufficiente la divisione in zone che ha scelto l'Italia? Secondo Walter Ricciardi, consigliere del ministro della salute Roberto Speranza per l'emergenza Covid-19, è ancora troppo presto per dirlo: "Abbiamo bisogno di almeno 14 giorni dalla promulgazione del DPCM per osservare eventuali effetti positivi in termini epidemiologici". Certo è che se i contagi continuassero ad aumentare a questo ritmo la situazione, per allora, potrebbe già essere fuori controllo: in molte regioni, tra cui il Veneto, sono stati sospesi interventi e visite specialistiche in ospedale. È importante ricordare, infatti, che quando si parla di sistema sanitario nazionale al collasso non si intende solo la saturazione delle terapie intensive: in un'emergenza di questo calibro, le risorse meccaniche e umane vengono impiegate per far fronte all'urgenza, e a rimetterci è il sistema virtuoso che porta per esempio alla diagnosi precoce di altre patologie, nonché il singolo cittadino, spesso costretto a rivolgersi al privato per ottenere esami che senza l'emergenza Covid avrebbe potuto fare in convenzione.
Fino a questo momento, comunque, il coordinamento europeo ha dato una grossa mano: "Si è cercato fin dai primi tempi di condividere le scelte - conferma Ricciardi - e come Italia abbiamo dato un ottimo esempio di gestione della pandemia la scorsa primavera. Si sono inoltre adottate misure condivise tra molti Paesi, per esempio l’interoperabilità dei sistemi di contact tracing. La collaborazione direi che è stata notevole tra i Paesi che seguivano le stesse linee di gestione, e ci sono state anche importanti manifestazioni di solidarietà nei momenti peggiori dell’emergenza, come la disponibilità della Germania a prendere in carico pazienti italiani quando i nostri ospedali lombardi erano saturi".
“ il virus non ha mai smesso di circolare in Europa, non siamo mai arrivati a un numero di casi pari a zero Walter Ricciardi
E allora cos'è andato storto? A cosa si può imputare questa seconda crisi? Durante la prima ondata il mondo dei social non aveva risparmiato le sentenze, e secondo Ricciardi le radici del problema affondano proprio nella percezione della pandemia: "Le cause che hanno portato alla situazione attuale possono essere ricondotte a vari fattori. L’estate ha portato a un allentamento delle misure restrittive secondario alla riduzione dei contagi ottenuta grazie ai lockdown di marzo, ma il virus non ha mai smesso di circolare in Europa, non siamo mai arrivati a un numero di casi pari a zero. Durante le vacanze le persone si sono spostate e proprio al rientro i casi hanno iniziato ad aumentare esponenzialmente fino ai numeri odierni. Ciascuno di noi aveva la responsabilità individuale di continuare a seguire comportamenti corretti di prevenzione anche quando i contagi erano diminuiti notevolmente, ma tante immagini ci hanno testimoniato che non sempre è accaduto".
A volte, poi, è mancato il coordinamento tra Stato e Regioni: "Con il ministro Speranza - prosegue Ricciardi - già il 6 aprile avevamo preparato un piano che però doveva essere recepito dalle Regioni. Alcune lo hanno fatto, altre no". Ed ecco che ci siamo ritrovati in questa situazione, con le palestre, le mostre e i teatri chiusi e con i bar e i ristoranti a orario ridotto. Uno dei problemi più sentiti, comunque, è quello della scuola, che in Campania è stata chiusa, mentre altre regioni alternano lezioni in presenza e DAD. Ma era davvero nelle scuole che avvenivano i contagi? Non c'era un modo per tenerle aperte, magari modificando i protocolli? "È stato fatto tutto il possibile - dice Ricciardi - per riaprire le scuole in piena sicurezza, perché l’istruzione ha un peso fondamentale anche da un punto di vista sociale. Siamo arrivati ora alla decisione di chiudere le scuole non perché la maggior parte dei contagi si è verificata lì, ma perché la curva epidemiologica è fuori controllo e la chiusura delle scuole può ridurre del 15% l’incidenza dei contagi, che è una percentuale rilevante per i numeri odierni".
L'imperativo è quindi quello di limitare il più possibile i contatti tra le persone, che, in ultima analisi, sono la prima causa di diffusione del virus. Purtroppo non sembrano bastare gli appelli dei DPCM, e un nuovo lockdown potrebbe rendersi necessario, anche secondo i dati finora raccolti. "In certe aree metropolitane il lockdown va fatto subito" conferma Ricciardi. "La semplice raccomandazione a non muoversi di casa riduce del 3% l’incidenza dei contagi, il lockdown del 125%. Se a questo accoppiamo lo smart working, che vale un altro 13%, e il 15% determinato dalla chiusura delle scuole, si arriva a quel 60% che serve per raffreddare l’epidemia. Per questo dico che fermare un attimo tutto dove la situazione è già fuori controllo è l’unica soluzione possibile".
Nel frattempo, comunque, bisogna cercare di attenersi alle norme già più volte ripetute: "Il sistema di controllo dei contagi a lungo termine c’è, ed è rappresentato dall’utilizzo delle mascherine, insieme al distanziamento sociale e all’igiene delle mani, almeno finché non sarà disponibile il vaccino".