SCIENZA E RICERCA

Cyberbullismo: partire dalla prevenzione

“Sono stata il paziente zero. La prima persona ad avere la reputazione completamente distrutta a livello mondiale attraverso internet”. A dichiararlo nei giorni scorsi a Philadelphia Monica Lewinsky nel corso del Forbes Under 30 Summit. Poche ore prima, il suo ingresso su Twitter. Il riferimento, esplicito, è al 1998 e alla sua relazione clandestina col presidente Bill Clinton. “Alla fine degli anni Novanta – sottolinea – non esistevano Facebook, Twitter o Instagram, ma c’era il gossip, siti di notizie e intrattenimento con sezioni dedicate ai commenti”. C’erano siti come il Drudge Report che per primo dette online la notizia della relazione tra la stagista e il presidente. Notizia che divenne virale in poco tempo. Ricorda l’umiliazione e la vergogna che talvolta possono avere anche conseguenze devastanti. Parla di cyberbullismo e il pensiero va a Tyler Clementi, un giovane americano suicida a 18 anni dopo la pubblicazione online nel 2010 di un video che lo riprendeva mentre baciava un ragazzo. “Ciò che serve – conclude – è un cambiamento radicale di atteggiamento in internet, nelle piattaforme mobili e nella società stessa. Ciò di cui abbiamo bisogno è una rivoluzione culturale”.  

Dal 1998 sono trascorsi più di 15 anni, sufficienti per assistere a un poderoso balzo in avanti delle nuove tecnologie. Internet è sempre a portata di mano. Basti pensare che, in Italia, il 75% dei ragazzi (su un campione di 2.107 studenti di terza media) ha un profilo Facebook, l’81% utilizza WhatsApp e il 93% si collega alla rete da uno smartphone. Accanto alle opportunità che i nuovi strumenti offrono, non mancano i rischi, come nel caso del cyberbullismo di cui, in ambito scientifico, si è cominciato a parlare intorno alla metà degli anni 2000. Un filone di ricerca giovane dunque come del resto lo è il fenomeno con le implicazioni, va detto, che questo comporta come la mancanza di un solido background teorico, l’assenza di univocità nella definizione e nella “misura” del cyberbullismo e la tendenza a volte a un approccio semplicistico. 

Nel 2011, volendo dare almeno un’idea della dimensione del fenomeno, il network Eu Kids Online pubblica i risultati di uno studio (tra i più recenti ed estesi) in 25 Paesi su 25.142 ragazzi di età compresa tra i 9 e i 16 anni che usano internet. Il risultato è che il 6% di questi dichiara di essere stato vittima di bullismo online, il 13% nella vita reale e il 3% attraverso chiamate con cellulare o messaggi. Un numero, quello dei ragazzi vittime di bullismo online, che si sospetta in aumento.

“Il cyberbullismo – spiega Gianluca Gini, docente di psicologia dello sviluppo all’università di Padova e membro dell’osservatorio regionale permanente sul fenomeno del bullismo – ha livelli di incidenza inferiore rispetto al bullismo tradizionale. Tuttavia, possiede caratteristiche specifiche che lo rendono più rischioso”. Se esistono infatti forti similitudini come l’aggressività nei comportamenti, la reiterazione, la natura offensiva e dannosa di tali atteggiamenti, sottolinea anche il rapporto Social Networks and Cyberbullying among Teenagers, non mancano le differenze. 

Gini sottolinea ad esempio che nei casi di cyberbullismo per la vittima è più difficile sfuggire. Tradizionalmente gli episodi di bullismo avvengono a scuola, in cortile o per strada, la vittima “vede” il bullo e i ragazzini che assistono sono solitamente un manipolo di compagni. Le nuove tecnologie amplificano questa situazione. Il bullo può raggiungere in qualsiasi momento la vittima. Il cellulare, lo smartphone è sempre in tasca. A ciò si aggiunga che chi compie atti di cyberbullismo non ha la percezione delle conseguenze che provoca e dunque si sente legittimato a compiere azioni più gravi rispetto alla condotta quotidiana. È quella che Gini chiama “depersonalizzazione” negli ambienti virtuali, un presunto anonimato che spinge a osare di più. La vittima non sa chi è il bullo, né chi è il pubblico. Potenzialmente centinaia, migliaia di persone possono condividere una foto, un video o un messaggio. 

Senza contare le conseguenze, del tutto paragonabili al bullismo tradizionale sia come tipologia che in termini di gravità. In entramb i casi si manifestano nei ragazzi ansia, depressione, pensieri suicidi. Sentimenti di angoscia e problemi di condotta a scuola. Nel caso del cyberbullismo, poi, una “reputazione digitale” negativa costruita in giovane età potrebbe anche rischiare di compromettere possibilità di carriera.

Come intervenire? “La prima linea su cui lavorare – spiega il docente – è la prevenzione, favorendo la conoscenza del fenomeno e la consapevolezza dei rischi non solo nei ragazzi, ma anche nei genitori e negli insegnanti”. Gini spiega che esistono implicazioni legali di cui spesso non si tiene conto. Qualche esempio. Se per un ragazzo entrare nel profilo Facebook di un compagno, impossessandosi della password, è poco più di uno scherzo, per la polizia postale è furto di identità. Divulgare messaggi denigratori su una compagna di classe può rappresentare diffamazione. In caso di foto che la ritraggono seminuda (a seno scoperto ad esempio) si parla di diffusione di materiale pedopornografico. E se il ragazzo ha più di 14 anni è perseguibile per legge.  

A Padova il gruppo di Gini sta lavorando a un progetto che si muove proprio in questa direzione. Si chiama Open (Online parent-training per l’educazione alla navigazione sicura e la prevenzione del cyber bullismo) ed è un portale web, disponibile tra qualche mese, che servirà ai genitori per informarsi sulle nuove tecnologie, sul loro funzionamento e i rischi connessi, offrendo in questo modo strumenti per prevenire il cyberbullismo. Si tratta di fornire loro strategie educative che permettano da un lato di monitorare ed educare  i ragazzi a un uso consapevole dei nuovi media, dall’altro di affrontare possibili situazioni di rischio e riconoscere i segnali d’allarme. È un percorso formativo on line accessibile a tutti che verrà personalizzato a seconda del target dei partecipantie sarà basato sull’“apprendimento attivo”, giochi, quiz e attività on line, più che sulla semplice lettura di informazioni scritte. 

“Si tratta – spiega Gini – di un servizio che l’università offrirà al territorio, accanto a quelli già attivi”. Il laboratorio per lo sviluppo sociale e per il benessere del bambino e dell’adolescente dell’università di Padova si occupa infatti, oltre che di ricerca, di formazione alle famiglie e nelle scuole. E punti di ascolto esistono anche negli uffici scolastici territoriali. 

Il docente sottolinea l’importanza di inserire strategie contro il cyberbullismo nelle politiche scolastiche, specie quando già esistono programmi di prevenzione del bullismo. Una sensibilità che lentamente sta nascendo anche in Italia perché, pur avendo analogie con il bullismo tradizionale, il cyberbullismo necessita di azioni mirate per le specificità che lo caratterizzano. 

Monica Panetto

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