SCIENZA E RICERCA
I media, l’ideologia e la scienza

Ha utilizzato un blog sull’UK Campus, il web journal della University of Nottingham (sì, insomma, ha scritto un commento sul sito della sua università), Freya Harrison, ricercatrice in forze al Centre for Biomolecular Sciences dell’ateneo inglese, ovvero una delle opportunità offerte dalle moderne ITC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) per esprimere tutto il suo disagio per la tendenza a spettacolarizzare la notizia che caratterizza (sempre più, con i new media?) la comunicazione pubblica della scienza.
Freya Harrison parte da un’esperienza personale, che l’ha scioccata e anche ferita. Lei ha scritto un articolo sulle cure parentali degli uccelli che è stato ripreso da alcuni media – anzi, da alcuni new media (sì, insomma, su internet) – per chiedere al governo di bloccare gli aiuti di stato alle ragazze madri e più in generale alle madri sole. Non c’è alcuna relazione tra il mio articolo sugli uccelli e le politiche di welfare per gli umani, sostiene giustamente Freya.
La comunicazione pubblica può gravemente distorcere i contenuti della scienza. E questa alterazione può essere pericolosa. La ricercatrice fa l’esempio della cosiddetta “MMR vaccine controversy”, ovvero al grande spazio che i mass media hanno concesso a un articolo pubblicato sull’autorevole rivista medica The Lancet nel 1998 da Andrew Jeremy Wakefield, un ricercatore inglese, sul rapporto tra incidenza dell’autismo e somministrazione del vaccino trivalente (morbillo, parotite, rosolia), che in Italia ha la sigla MPR e in inglese MMR. The Lancet ha in seguito ritirato l’articolo, perché ritenuto fraudolento. Il rapporto tra autismo e vaccino trivalente è privo di qualsiasi fondamento. Ma intanto i buoi sono scappati dalla stalla: molte mamme e molti papà hanno deciso di non vaccinare i loro figli. La cattiva informazione ha generato un rischio per l’intera società, oltre che per i singoli.
Freya Harrison punta il dito contro la tendenza dei mezzi di comunicazione di massa a spettacolarizzare le notizie scientifiche. E fin qui nulla di nuovo. È da sempre che se ne parla. E sono molti anni che gli studiosi dei media rilevano come la tendenza sia a un significativo aumento del fenomeno, per una serie di ragioni (dal marketing, alla rivoluzione tecnologica che ha moltiplicato di alcuni ordini di grandezza il flusso delle notizie) che non stiamo qui a ricordare (non in questo momento, almeno).
Ciò che rende più interessante l’intervento di Freya Harrison è il fatto che il suo dito accusatore non è rivolto tanto ai giornalisti (si sa, spettacolarizzare è il loro mestiere) quanto agli scienziati stessi. Ci siamo lasciati trascinare nel gorgo della notizia spettacolo. Prendete il caso dell’articolo Structural basis for outer membrane lipopolysaccharide insertion pubblicato lo scorso giugno su Nature da Haohao Dong e da un gruppo di suoi collaboratori. Si tratta di un lavoro in cui si mostra come alcuni batteri del gruppo dei gram-negativi producono una sostanza, il lipopolisaccaride, capace di migrare verso la membrana esterna e distruggere alcune protezioni, comprese quelle utilizzata da alcuni batteri resistenti agli antibiotici.
Ebbene, sostiene Freya Harrison, molti giornali inglesi hanno pubblicato la notizia con titoli del tipo: trovato il “tallone d’Achille” dei batteri che resistono agli antibiotici. L’uomo ha vinto per sempre la sua battaglia. Un titolo che ha deformato una notizia scientifica in una notizia spettacolo. Col rischio che si riveli presto un boomerang. Se i lipopolisaccaridi non si riveleranno la freccia adatta a colpire Achille nel suo unico punto debole, la comunità scientifica uscirà screditata dalla vicenda.
Ma la colpa, sostiene Freya Harrison, non è dei giornalisti. Perché l’idea del “tallone d’Achille” e della freccia vincente è contenuto del comunicato stampa rilasciato dall’università inglese cui afferiscono Haohao Dong e i suoi collaboratori.
A trasformare una normale notizia scientifica in una notizia spettacolo, dunque, sono stati gli stessi scienziati. Non è un caso isolato, sostiene (giustamente) Freya Harrison, ma l’espressione di un fenomeno più generale. Un fenomeno che potremmo riassumere, peccando di riduzionismo, in una frase: i nuovi rapporti, sempre più interpenetrati, tra scienza e società, che impongono ai ricercatori di conquistare l’attenzione e la benevolenza del grande pubblico.
Freya Harrison, dunque, invita i ricercatori a trovare un nuovo equilibrio nella comunicazione della scienza allargata al grande pubblico dei non esperti. È un tema decisivo, che impegna la comunità scientifica, troppo spesso pronta a scaricare il barile sulle spalle dei mass media.
Tuttavia l’intervento della ricercatrice inglese è interessante anche e, forse, soprattutto per la sua esperienza personale. Ovvero per quel tentativo esperito di applicare all’uomo e alla sua società osservazioni che riguardano sistemi biologici affatto diversi. In questo caso non ci troviamo di fronte a una spettacolarizzazione della notizia, ma a una ideologizzazione. Non è una novità. La stessa teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto di Charles Darwin è stata utilizzata, malgrado Darwin, per giustificare la disuguaglianza nella società umana. È curioso ricordare che fu proprio Herbert Spencer, che per primo ha usato l’espressione “sopravvivenza del più adatto” ed è considerato, a torto o a ragione, il padre del darwinismo sociale, era contrario all’assistenza statale delle persone bisognose. Proprio come gli interpreti del lavoro di Freya Harrison.
A dimostrazione che il rischio dell’interpretazione ideologica dei risultati scientifici è sempre in agguato. La storia in svariate occasioni ha dimostrato che quando la scienza diventa ideologia – o meglio, quando l’ideologia tenta di trovare giustificazioni improvvide e inappropriate nella scienza – i rischi sono altissimi.
Pietro Greco