SCIENZA E RICERCA

Mentolo: l’ultimo ritrovato per la cura dell’obesità

Una nuova possibilità per la cura dell’obesità viene oggi dal mentolo. L'obesità rappresenta una patologia a rischio per lo sviluppo di malattie gravi quali quelle cardiovascolari, metaboliche come il diabete o caratterizzate da elevate concentrazioni di grassi nel sangue (le dislipidemie) e alcuni tipi di tumori. Si stima che in Italia circa il 30-40% della popolazione adulta sia in sovrappeso e il 10% obesa con punte più elevate in alcune regioni del meridione d'Italia. Questa patologia inoltre non risparmia i bambini dove anzi si presenta in continua crescita, con il 20% in sovrappeso e il 5% di obesi.

Le strategie per la cura dell'obesità sono rappresentate principalmente dalle modificazioni dello stile di vita quali la dieta ipocalorica e l'aumento dell’esercizio fisico che però spesso si rivelano poco efficaci a causa dell’incostanza del paziente. Anche se sono stati proposti in passato numerosi farmaci per la cura dell’obesità, attualmente non ne esistono di approvati in grado di portare a una riduzione del peso corporeo. Nei casi di obesità grave si arriva anche all'intervento chirurgico di restrizione del tratto gastro-enterico.

Le premesse. Una delle strategie teoricamente in grado di portare a una riduzione del peso corporeo  è rappresentata dalla possibilità di aumentare il consumo dei grassi depositati nel tessuto adiposo. Nell'uomo sono presenti due tipi di tessuto adiposo denominati bianco e bruno: il tessuto adiposo bianco rappresenta il tessuto di accumulo dei grassi e il tessuto adiposo bruno rappresenta il tessuto in grado di bruciare i grassi depositati nel bianco producendo energia per le attività cellulari e calore.

La ricerca portata avanti dal gruppo di cui faccio parte è partita da un presupposto noto da sempre e cioè che l'esposizione al freddo è in grado di indurre dimagrimento. Infatti per mantenere la temperatura corporea stabile a 37 gradi centigradi il nostro organismo, una volta esposto al freddo, produce calore nel tessuto adiposo bruno, consumando i grassi di quello bianco e provocando un progressivo dimagrimento. Ciò avviene attraverso l'attivazione del sistema adrenergico (il sistema di cellule che produce adrenalina) da parte di un recettore presente nelle terminazioni nervose di cute e mucose. Queste avvertono il freddo come una minaccia per l’organismo e lo costringono a produrre calore per mantenere normale la temperatura corporea. Ad attivare chimicamente il sensore del freddo è il mentolo, che com’è risaputo suscita sulla cute e le mucose una sensazione di freddo.

La scoperta. La terapia dell'obesità attraverso la somministrazione di sostanze adrenergiche che attivino il tessuto adiposo bruno non è attuabile in relazione ai loro effetti collaterali sul sistema cardiovascolare. Alcuni studi recenti hanno dimostrato che il tessuto adiposo bianco può trasformarsi in bruno, risultando così in grado di bruciare i grassi producendo calore. Il nostro gruppo di ricerca ha lavorato all'ipotesi che il tessuto adiposo bianco possedesse i recettori per il freddo e che fosse capace di trasformarsi in tessuto adiposo bruno una volta esposti direttamente al freddo. Abbiamo perciò isolato e differenziato in vitro le cellule del tessuto adiposo bianco (adipociti bianchi) dimostrando che possiedono il recettore per il freddo. La stimolazione del recettore con il mentolo, o con l’esposizione a temperature inferiori ai 37 gradi, ha indotto la loro trasformazione in adipociti con caratteristiche simili a quelle degli adipociti bruni, capaci di produrre calore. Lo studio, pubblicato sulla rivista inglese Molecular and Cellular Endocrinology, dimostrando che una sostanza come il mentolo – di derivazione vegetale dalla menta piperita, nota da migliaia di anni, e utilizzato diffusamente nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica e apparentemente priva di effetti collaterali nell'uomo – è capace di stimolare in vitro il tessuto adiposo a bruciare i grassi, offre una prospettiva reale di applicazione alla terapia dell’obesità nell’uomo.

Marco Rossato

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