SOCIETÀ

Civili, ma con le armi in mano

Il 4,5% della popolazione mondiale impugna in mani civili il 42% delle armi da fuoco di tutto il mondo: siamo negli Stati Uniti, nazione leader globale per diffusione di armi fra i cittadini (88.8%) e detentrice, fra le nazioni dell’Ocse, del tasso più alto di omicidi correlati all’uso di armi.

Da gennaio a oggi sono quasi 43.000 gli incidenti d’arma da fuoco registrati negli Stati Uniti; nel corso di questi episodi sono morte 10.700 persone e ne sono rimaste ferite quasi 22 mila; 2733 i bambini e i ragazzi feriti o uccisi. Sommare il numero delle vittime al di sotto dei 12 anni a quello dei teenager per aggiornare questo articolo significa aggiungere all’elenco delle vittime 106 ragazzini in più colpiti da un’arma. In poco più di una settimana.

La legislazione federale americana è datata e limitata, soprattutto per quanto riguarda il controllo preventivo dei dati del portatore, il trasporto, la custodia e l’uso delle armi da fuoco. Solo diciotto stati e alcune città hanno adottato leggi che obbligano a custodirle in un luogo sicuro. Gli oppositori del safe-storage, la custodia sicura delle armi, sostengono che avere un’arma e non potervi accedere facilmente ne vanifichi il possesso. In realtà, secondo dati governativi, nel 99,2% dei casi le vittime di un’aggressione non fanno ricorso ad un’arma per difendersi, nonostante nelle mani degli americani ve ne siano più di 270 milioni. Anzi, qualora vi siano armi in casa, l’aggressore ha il doppio delle possibilità di ottenerle dalla vittima, piuttosto che questa le usi in propria difesa. Inoltre, uno studio delle Nazioni Unite ha dimostrato una correlazione fra la detenzione in casa di armi e la vittimizzazione di donne, a più alto rischio di uccisione da parte di compagni e familiari.

Le armi vengono invece usate negli Stati Uniti come mezzo d’aggressione (nel 67,5% degli omicidi), tanto che, secondo dati elaborati dall’Economist, mentre i cittadini americani hanno il quadruplo di possibilità di essere uccisi rispetto ai britannici, hanno addirittura 40 possibilità in più che sia una pistola o un fucile la causa della propria morte. E ancora, essendo più letali di altri strumenti, le armi diventano il principale strumento di suicidio, causando quasi il doppio delle vittime per omicidio.

Ma ciò che più profondamente colpisce l’opinione pubblica è l’enorme quantità, rispetto al resto del mondo, di episodi di omicidi di massa. Dal 1° gennaio al 25 ottobre, quindi in 298 giorni, negli Stati Uniti sono state documentate 312 mass shooting, ossia sparatorie che coinvolgono quattro o più persone. Il Mass shooting tracker, progetto che coinvolge CNN, MSNBC, The Washington Post, The Economist e altri colossi mediatici, registra le grandi sparatorie una a una: luogo, morti, feriti, link agli articoli principali. Il quadro che ne esce è impietoso e racconta di una nazione in cui si muore per ferite d’arma da fuoco a scuola, al lavoro, a casa propria.

Le sparatorie di massa si trasformano talora in mass murder (episodi violenti in cui i morti sono 4 o più): secondo uno studio di Adam Lankford, docente di giustizia criminale all’università dell’Alabama, negli Usa ce ne sono state 90 fra il 1966 e il 2012, quindi circa un terzo dei 292 attacchi mortali registrati globalmente in quel periodo. Quindi, mentre gli Stati Uniti possedevano il 5% della popolazione mondiale, registravano in quegli anni anche il 31% di stragi per arma da fuoco. Per dare una dimensione al fenomeno, basti sapere che la nazione che segue direttamente gli Stati Uniti per numero di armi in mano ai civili è l’India, con 46 milioni di armi distribuite su di una popolazione di più di un miliardo e 25 milioni di abitanti; eppure non compare nemmeno fra le prime cinque nazioni per numero di stragi. Degli oltre 170 stati analizzati nello studio di Lankford, solo quattro raggiungono la doppia cifra nel conteggio delle stragi: le Filippine con 18, la Russia con 15, lo Yemen con 11 e la Francia con 10.

“Tutto questo è diventato routine […] Siamo l'unico paese avanzato dove simili massacri avvengono quasi ogni mese” denunciava turbato e visibilmente arrabbiato Barack Obama all’indomani dell’ennesima sanguinosa tragedia su suolo statunitense, quella all’Umpqua Community College  in Oregon, nel corso della quale hanno perso la vita dieci persone. Ma l’indignazione presidenziale non basta nemmeno a scalfire la centenaria fede americana  nel secondo emendamento della costituzione, che sancisce il diritto di possedere e usare le armi. Tanto che un’indagine Gallup registra in questi giorni un esiguo 27% di intervistati a sostegno dell’abolizione delle armi in mani civili; la stessa posizione era sostenuta nel 1959 dal 60% della popolazione.

In Italia, dove si moltiplicano le discussioni sulla liceità dell’uso delle armi per autodifesa, la situazione è contraddittoria: a fronte di 1.106.565 armi registrate dalla polizia nel 2014, lo studio GunPolicy.org stima un numero reale di armi, fra legali e illegali, che si aggira fra i 7 e i 10 milioni. Pur tenendo conto di quest’ultimo dato, il nostro Paese, nel quale vi sarebbero dunque 12 armi da fuoco ogni 100 persone, segnerebbe una distanza importante rispetto agli Stati Uniti, dove la distribuzione delle armi è quasi dell’89%. In Italia, inoltre, il tasso di omicidi per arma da fuoco, pari a 0,78 ogni 100.000 persone (in Usa: 3,2), è comunque molto alto rispetto al resto dell’Europa e, secondo solo a quello albanese (1,76), è seguito immediatamente da quello svizzero (0,77). Anche se sono proprio la Svizzera (45,7%), la Finlandia (45,3%), la Norvegia (31,3%) e l’Islanda (30,3%), le nazioni europee con la più alta concentrazione di armi.

Nonostante in Italia sia limitata l’incidenza numerica delle armi rispetto agli Stati Uniti, la casistica degli omicidi è del tutto simile a quella statunitense, tanto che nel 67% dei casi  l’assassinio è l’esito di una sparatoria. E non abbiamo nemmeno il secondo emendamento.

Chiara Mezzalira

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