SOCIETÀ
Donne al lavoro, in stato di necessità

Ried im Innkreis (Austria), giugno 2013. Helmut Winkler istruisce un’apprendista in una azienda di componenti per l’aeronautica. Foto: Reuters/Heinz-Peter Bader
Qualcosa sta cambiando, nelle nostre case e nelle nostre famiglie, per effetto della grande recessione. I media ci informano ogni giorno del fatto che siamo tutti più poveri, tagliamo le vacanze, usiamo un po' meno l'auto, tiriamo fuori le tende da campeggio, compriamo (tragicamente) meno frutta e più junk-food. Meno evidenza è data a un'altra novità silenziosa: la crisi sta cambiando anche l'equilibrio di genere nelle nostre famiglie. Molte donne stanno letteralmente correndo fuori di casa. L'occupazione femminile, che da decenni saliva piano piano, per effetto della progressiva marcia in avanti delle donne italiane, della loro sempre maggiore istruzione, libertà, indipendenza e voglia di realizzazione, ha compiuto un piccolo balzo in avanti. È una tendenza comune a tutta l'Europa: poiché la riduzione della produzione ha colpito in un primo tempo soprattutto i settori a forte occupazione maschile (edilizia in primis), l'occupazione femminile ha tenuto, in termini relativi. Come si legge in un rapporto stilato dal network Enege per la Commissione europea, “il divario di genere nel tasso di occupazione a livello Ue è sceso di circa 3,2 punti percentuali, dai 14,1 punti prima della crisi ai 10,9 nel primo trimestre del 2012”. Gli uomini hanno perso di più, le donne hanno mantenuto le posizioni: anzi, in alcuni paesi, tra i quali l'Italia, hanno aumentato la partecipazione e l'attività lavorativa.
Lo confermano anche i più recenti dati dell’Istat, che, nel segnalare il nuovo record di disoccupazione italiano (12,2%), avverte anche che, se la disoccupazione cresce per tutti, uomini e donne, queste ultime hanno registrato, nel maggio 2013, un aumento dell’occupazione dello 0,3% sul mese precedente e una riduzione del tasso di inattività (-0,4% su base mensile, meno 2% su base annua). Ma le variazioni mensili spesso risentono di eventi e tendenze congiunturali. L’ultimo rapporto annuale dell'Istat permette di guardare alle tendenze che si sono stabilizzate nel medio periodo. Il bilancio è all'anno 2012, il quinto dallo scoppio della bolla dei subprime. In termini percentuali: disoccupazione all'11,5%, disoccupazione giovanile al 35,3%, disoccupazione di lunga durata al 5,6%. In valori assoluti, l'occupazione complessiva, rispetto al 2008 (anno di inizio della crisi) è scesa di 506.000 unità (62.000 in meno nell'ultimo anno, il 2012). In questo quadro, l'occupazione femminile fa eccezione alla valanga dei segni “meno”: infatti nel 2012 le donne che lavorano sono aumentate di 110.000 unità rispetto al 2011. Oltre alle occupate, aumenta il numero delle donne disposte a lavorare: “la quota di quelle che passano verso le forze lavoro potenziali o la disoccupazione cresce dal 16,5 a circa il 24%”. Il segno più si deve a tre componenti: le lavoratrici straniere, quelle anziane, quelle spinte sul mercato dal lavoro dalla crisi. In altre parole: immigrazione, riforma delle pensioni, povertà. Le lavoratrici straniere sono cresciute di 76.000 unità (+7,9%), e questo è un fenomeno assai interessante: anche gli stranieri stanno pagando un prezzo alto alla crisi, ma il settore dei servizi e della cura delle persone resiste.
Sull'aumento dell'occupazione femminile pesano poi le 148.000 ultracinquantenni che per effetto della riforma delle pensioni sono rimaste nel loro posto di lavoro: mentre il tasso di occupazione delle donne tra i 50 e i 64 anni è salito dal 34,8 al 40,5% (dal 2008 al 2012), negli stessi anni l'occupazione delle ragazze tra i 15 e i 34 anni è scesa dal 42,4 al 37,1%.
C'è poi, a spiegare l'aumento dell'occupazione femminile, l'effetto della crisi economica sui bilanci familiari. Il primo dato che salta agli occhi è la riduzione dell'inattività: categoria nella quale gli statistici comprendono tutti coloro che sono in età di lavoro ma non hanno un'occupazione retribuita, né la cercano attivamente. La riduzione dell'inattività femminile ha contribuito nel 2012 in misura determinante alla riduzione del tasso di inattività: che è sceso dello 0,9% per gli uomini e del 2% per le donne. Su dieci persone che “escono” dall'inattività, sette sono donne, dice l'Istat. Che registra il fatto che quest'aumento dell'offerta di lavoro femminile è dovuto anche “a nuove strategie familiari per affrontare le ristrettezze economiche indotte dalla crisi”. Cresce anche la quota delle donne breadwinner, portatrici dell'unico reddito in famiglia, dando i numeri delle coppie con figli il cui solo la donna lavora: queste sono passate da 224.000 del 2008 a 314.000 nel 2011 fino a 381.000 nel 2012 e sono adesso l'8,4% del totale delle coppie con figli. Nel nuovo esercito di donne arrivate sul mercato del lavoro per far fronte alle difficoltà economiche della famiglia, si notano soprattutto donne meridionali, spesso non giovanissime, con titolo di studio medio-basso, e con una forte diffusione del part time involontario.
Dunque, il quadro è cambiato. La crisi sta spingendo sul mercato del lavoro donne che prima se ne tenevano fuori. Un fenomeno che ha parecchi elementi critici e segnali d'allarme, legati alla bassa qualità dei lavori che adesso le donne accettano (e prima non accettavano) e al fatto che le giovani donne sembrano fuori da questo mini-recupero. Ma che non va sottovalutato, per la sua portata sociale e anche culturale.
Anche se costrette da condizioni avverse ad accettare lavori che magari 3 o 4 anni fa non avrebbero accettato, le donne italiane, soprattutto del Sud, che adesso “reggono la baracca” potrebbero non avere alcuna voglia di tornare a casa: come succede durante le guerre, quando i ruoli di genere cambiano per forza maggiore. Il contributo positivo delle donne all'economia, sul quale inutilmente per anni si sono scritti libri e appelli cercando di far entrare il discorso nelle priorità della politica, è diventato evidente a livello piccolo, microscopico, ma essenziale: cioè per ciascuna casa nella quale il reddito della donna ha tenuto la famiglia sopra la soglia di povertà. È importante registrare questo cambiamento, prima di decidere quale tipo di intervento pubblico è necessario; e valutare ogni intervento – dagli asili nido alle politiche urbane, dagli orari delle città fino agli ammortizzatori sociali - sulla sua capacità di rafforzare le donne appena entrate, o tornate, su un mercato del lavoro così ostile. E far sì che ci restino.
Roberta Carlini