SOCIETÀ
Ecoreati, pene più certe o rischio prescrizione?

Foto: Simone Donati/TerraProject/contr
Alla fine, dopo vent’anni di attesa, gli ecoreati sono legge dello Stato (precisamente la n. 68 del 22 maggio 2015). Un evento fortemente voluto e salutato con entusiasmo da Legambiente e da molte associazioni ambientaliste, ma che nell’immediato rischia di complicare il lavoro di forze dell'ordine e magistrati. Spiega perché il vicequestore aggiunto Franco Lattanzio, da trent’anni nel Corpo forestale dello Stato, per cui svolge il delicato ruolo di responsabile del settore analisi criminale per il Veneto. “I nuovi reati consentono sicuramente pene più alte e alcune attività investigative più forti, come ad esempio le intercettazioni ambientali. Sull’altro piatto della bilancia però ci sono le difficoltà nell’applicare le nuove definizioni normative, con processi probabilmente più lunghi e complessi rispetto alla vecchia normativa”.
La nuova legge introduce nel codice penale una serie di nuovi ‘delitti contro l’ambiente’ (artt. 452-bis - Art. 452-terdecies): dall’inquinamento ambientale – previsto per chi abusivamente provoca “una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili” di acque, aria, suolo o del sottosuolo, oppure di un ecosistema o della biodiversità – al più grave disastro ambientale, dove l’alterazione è irreversibile, particolarmente onerosa da eliminare o mette in pericolo la comunità. Completano il quadro le nuove fattispecie dei delitti colposi contro l’ambiente e dell’omessa bonifica, fino al traffico e all’abbandono di materiale ad alta radioattività e all’impedimento dei controlli.
Le pene previste possono arrivare fino a 20 anni: una vera e propria rivoluzione rispetto ai vecchi reati ambientali, inseriti nel codice dell’ambiente (decreto Legislativo 152 del 2006, rubricato ‘Norme in materia ambientale’). Molto meglio dunque? Non necessariamente. “Nel vecchio impianto, eccezion fatta per i delitti connessi al traffico illecito di rifiuti, si trattava di reati contravvenzionali, spesso risolti in poco tempo dalle procure con decreti penali di condanna. Ammende o multe da poche migliaia di euro, che però venivano subito pagate dal trasgressore e davano un senso di certezza dell’applicazione della pena e di legalità”. Adesso cosa cambierà? “L’aggravamento dei reati allungherà i tempi dei processi, dato che giustamente bisognerà garantire i diritti della difesa. Il timore è che molti possano finire nella prescrizione, come purtroppo è avvenuto in alcuni grandi processi come nel caso Eternit”.
Un altro problema viene dalla formulazione dei nuovi reati, spesso non definiti in maniera inequivocabile: “Se ad esempio mi chiedessero quando l’equilibrio di un ecosistema è ‘alterato irreversibilmente’ (come prevede il nuovo reato di disastro ambientale, ndr) da naturalista dovrei rispondere che in natura non c’è niente di irreversibile” continua Lattanzio, che prima di intraprendere la carriera si è laureato in scienze forestali presso l’Università di Padova. “La natura è talmente forte da rimarginare le ferite più profonde, anche se magari in decine o centinaia di anni”. Al contrario le vecchie contravvenzioni erano basate su una serie di parametri, che stabilivano in maniera semplice e incontrovertibile se un sito (terreno, acqua o aria) era inquinato: le cosiddette concentrazioni soglia di contaminazione (csc).
Oggi i vecchi reati ci sono ancora, ma sono stati depotenziati: il procedimento penale infatti può essere sospeso e il reato estinto se, secondo i nuovi articoli 318-bis e seguenti del codice dell’ambiente, il contravventore adempie a una ‘prescrizione’ della polizia giudiziaria per ripristinare la situazione precedente. Chi ha però il potere di dare queste prescrizioni? “La legge per ora non lo stabilisce. I Carabinieri e la Polizia potranno agire autonomamente, oppure dovranno rivolgersi alle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA) o alle provincie, cioè le amministrazioni che finora si sono occupate di quest’ambito? Probabilmente nei primi tempi questo genererà un po’ di confusione. Alcune procure si sono mosse, per il resto si dovrà aspettare che si sviluppino una dottrina e una prassi operativa”.
Un ultimo problema è che, proprio mentre si decide un giro di vite sui reati contro l’ambiente, viene disposta la cancellazione del Corpo Forestale dello Stato, la forza di polizia che più si è occupata di questo nel corso degli ultimi anni. Con la riforma della pubblica amministrazione appena licenziata dal Parlamento viene infatti data delega al governo per disporre la sua confluenza in un altro corpo. Peraltro al momento non specificato, anche se le voci più accreditate indicano i Carabinieri. Ai militari dell’Arma spetta infatti generalmente il controllo del territorio, mentre tocca alla Polizia di Stato occuparsi dei teatri urbani e metropolitani.
Contro l’accorpamento si sono espressi non solo associazioni ambientaliste, ma anche ad esempio Libera di don Ciotti. Certo, si risponde, anche avere cinque polizie presentava criticità: dalle difficoltà di collaborazione alla moltiplicazione dei ruoli apicali. “Il principio può anche essere giusto. Come cittadino capisco che spesso si fatichi ad orientarsi tra le varie competenze: bene quindi è stato stabilire un unico numero di emergenza (che sarà il 112). Nella mia esperienza però non ci sono mai state difficoltà con gli altri corpi ma anzi una fruttuosa collaborazione, basata sul riconoscimento reciproco delle professionalità”.
Oggi, secondo le critiche, si rischia di dilapidare il patrimonio di conoscenze accumulato negli anni dagli uomini della Forestale: “Continuare a fare lo stesso lavoro con un altro nome o un’altra divisa è l’ultimo dei pensieri – accenna Lattanzio –. Il problema è che finora gli altri corpi di polizia si sono occupati di altro e non ci si inventa forestali da un giorno all’altro. È vero che c’è anche il NOE (Il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri’, ndr) ma fa un altro tipo di lavoro e agisce soprattutto su delega delle procure per grosse indagini. Il timore è che possa venire a mancare la polizia di prossimità nel settore ambientale: un lavoro spesso oscuro ma determinante per la salvaguardia dell’ambiente”.
Daniele Mont D’Arpizio