SOCIETÀ

Grillo e l’economia di guerra

Tanto è stato imprevisto il successo del Movimento 5 Stelle alle elezioni (25,5% dei voti, primo partito al di fuori delle coalizioni) quanto è stata difficile la sua azione parlamentare nei quattro mesi successivi: polemiche interne, abbandoni di alcuni deputati e senatori, una diffusa sensazione di scarsa efficacia della sua opposizione. In realtà, le ragioni del successo e quelle delle difficoltà hanno la stessa origine: quello di Grillo è un movimento genuinamente populista nel senso indicato dallo studioso francese Guy Hermet, cioè un movimento che sfrutta “il sogno popolare della realizzazione immediata delle rivendicazioni delle masse”.

Gli Stati moderni sono macchine enormemente complesse, che la democrazia rappresentativa fatica a gestire per ragioni che sarebbe troppo lungo indagare qui, ma hanno una caratteristica fondamentale: fondano la loro legittimità sulla “sovranità popolare”. A Washington come a Berlino, a Buenos Aires come a Roma si governa in nome del popolo. Naturalmente “in nome di” non significa affatto “a vantaggio di”: ovunque le élite tendono a difendere prioritariamente il proprio ruolo e i propri interessi ed è in questo spazio discorsivo, nella differenza fra il mito di fondazione e le difficoltà della vita quotidiana che, periodicamente, germogliano movimenti populisti.

Questi movimenti possono adottare una retorica autoritaria e xenofoba, come il Front National francese e il movimento Tea Party americano, oppure il linguaggio della partecipazione democratica e della difesa dei lavoratori, come nel caso di Grillo, ma in entrambi i casi promettono di “rimettere a posto le cose” rapidamente, grazie alla cacciata dei politici o dei banchieri corrotti, cui dovrebbe seguire un governo orientato dal semplice buon senso dei cittadini. Non a caso, il M5S si pone come obiettivo quello di realizzare un confronto democratico “senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi”. Una democrazia diretta che sarebbe oggi possibile grazie alla Rete.

Tuttavia, quando si eleggono 163 parlamentari occorre che questi facciano un’opposizione efficace, controllino e denuncino, facciano proposte proposte. Il movimento lo fa?

Uno degli ultimi post del blog di Grillo dice: “Siamo falliti e lo neghiamo e affossiamo le imprese con carichi insostenibili (…) È necessario attuare subito, entro l'autunno, un'economia di guerra. Tagliare le province, portare il tetto massimo delle pensioni a 5.000 euro, tagliare finanziamenti pubblici ai partiti e ai giornali, riportare la gestione delle concessioni pubbliche nelle mani dello Stato, a iniziare dalle autostrade, (…) eliminare la burocrazia politica dalle partecipate dove prosperano migliaia di dirigenti, nazionalizzare il Monte dei Paschi di Siena, eliminare ogni grande opera inutile come la Tav in Val di Susa e l'Expo di Milano, ridurre drasticamente stipendi e benefit dei parlamentari e di ogni carica pubblica, cancellare la missione in Afghanistan, fermare l'acquisto degli F35. (…) Qualcuno obietterà che si vanno "a toccare" diritti acquisiti, come nel caso delle pensioni d'oro (in Italia sono 100.000 i “super-pensionati” e costano allo Stato italiano 13 miliardi di all’anno per cui vengono utilizzati i contributi pensionistici di ben 2.200.000 lavoratori). I diritti acquisiti non sono contemplati più da un pezzo per gli esodati, per i precari, per chi non prenderà mai la pensione. In un'economia di guerra i diritti acquisiti non esistono più”.

L’elemento interessante di questa invettiva è il fatto che una serie di misure spesso perfettamente condivisibili ma eterogenee (dalle province alle pensioni all’Afghanistan) vengono presentate come la soluzione di tutti i problemi italiani, la ricetta miracolosa che permetterebbe “la defiscalizzazione parziale delle piccole e medie imprese, l'introduzione del reddito di cittadinanza e l'abbattimento del debito pubblico”. Il leader implicitamente promette una transizione indolore a un’Italia risanata con un pacchetto di leggi che potrebbero essere approvate dal Parlamento in poche settimane se il governo fosse affidato al Movimento 5 Stelle.

Ovviamente, le cose sono più complicate di così: siamo nell’Unione Europea, siamo vincolati da trattati internazionali e da una Costituzione. Grillo sembra non accorgersi di quanto sia scivoloso il terreno su cui si avventura parlando di “economia di guerra” e “diritti acquisiti [che] non esistono più”. Gli sfugge il fatto che la “guerra” è sempre stata il miglior strumento a disposizione delle élite per far accettare scelte disastrose ai cittadini e che è proprio il neoliberismo che lui vuole combattere a spazzare via i “diritti acquisiti”. Il compromesso tra capitale e lavoro su cui si era basato lo sviluppo del dopoguerra è stato denunciato unilateralmente a partire dalla fine degli anni Settanta e da allora ogni conquista sociale è stata definita un “ostacolo alla competitività” da eliminare.

Il Movimento 5 stelle si trova in difficoltà perché la potente retorica di denuncia della “casta” suona meno credibile nella quotidianità parlamentare, che ha i suoi rituali, le sue costrizioni, i suoi tempi, i suoi vincoli internazionali. I cittadini questo lo percepiscono, sia pure confusamente, e quando si tratta di amministrare un Comune o una Regione indirizzano il loro voto altrove, o rinunciano addirittura a votare. Le difficoltà del M5S nelle elezioni amministrative si spiegano con la natura stessa del movimento, che promette più di quanto possa mantenere, più di quanto chiunque possa mantenere nel quadro di una democrazia rappresentativa. Successi e delusioni sono le due facce della stessa medaglia del populismo.

Fabrizio Tonello

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