SOCIETÀ
L’Italia dove c’è ancora orgoglio ed entusiasmo

Il lungomare di Reggio Calabria, una delle città citate nel libro di Napoletano. Foto: Nick Hannes/Hollandse Hoogte/contrasto
Il percorso è durato quasi tre anni. Avanti e indietro, “un girovagare tra le macerie italiane e le speranze di rinascita”. Tutto è stato riportato in una sorta di diario, che Roberto Napoletano, direttore de Il Sole 24 Ore, scrive, arricchendolo di domenica in domenica, con i suoi “Memorandum”, la rubrica del supplemento culturale del giornale. Da questo girovagare, da questa sorta di appunti domenicali, è nato il libro “Viaggio in Italia”, dall’eloquente sottotitolo “I luoghi, le emozioni, il coraggio di un Paese che soffre mai non si arrende”, presentato nell’Archivio Antico del Bo.
Il “viaggio” non tocca quasi mai posti noti ma luoghi fuori mano dove c’è ancora voglia di fare, orgoglio, entusiasmo, anche se non mancano le lamentele. Luoghi non scelti a caso, però. Li indicano i lettori del “Sole” che scrivono al giornale: “Caro direttore, da italiano credo nell’Italia… Lo stesso voglio essere un’opportunità per il mio Paese… Noi ci siamo e siamo in tanti…”. “Gentile direttore, ti scrivo da Reggio Calabria, città in cui ultimamente sembra commissariata anche la speranza…”. “Egregio direttore, non ti pare che se l’Italia non è capace di selezionare la sua classe dirigente la colpa sia anche della sua società civile?”. “Direttore, le scrivo perché da settembre sono disoccupato… e un disoccupato in famiglia vale più di uno…”. Gente che si racconta. Così Roberto Napoletano confeziona piccole storie. Le voci si intrecciano, si mescolano e dialogano fra di loro.
Ma il narrare di Napolitano non è frutto di un giornalismo da desk, da scrivania. È un direttore che cammina, che ama impolverarsi le scarpe per verificare storie. Pur operando al vertice del giornale, ha conservato l’anima del cronista, di un cronista di razza che pretende di andare a contatto con la realtà. Di storia in storia, di quadro in quadro, di luogo in luogo, esce un’Italia vera, “un’Italia - scrive - problematica e sofferente, ma pensante, critica e generosa, che ha voglia di ricostruire il proprio futuro”, anche se il Nord si meridionalizza e un Sud svuotato esporta al Nord i problemi peggiori. E’ un’Italia che sconta crisi, disoccupazione e il mal funzionamento dello Stato ma il malessere non ha ancora sradicato la parte positiva del Paese.
A Trento, Napoletano scopre che la crisi lì “ha colpito solo di striscio” ma dove un imprenditore amareggiato confessa che produrre o avviare un’azienda in Italia oggi è quasi una colpa; a Saluzzo, la cittadina natale di Silvio Pellico, c’è la strada di collegamento con Alba che ha gli stessi problemi della Salerno-Reggio Calabria; a Cremona vengono costruiti i violini più preziosi della storia che nessuna liuteria del mondo è mai riuscita ad avvicinare; in Lombardia c’è la milanesità ferita; a Torino, città dalla “dignitosa tristezza”, alla chiusura dei mercati rionali, c’è una fila di persone ben vestite che raccoglie frutta gettata nei cassonetti; a Montebelluna il giornalista descrive l’amarezza di un imprenditore che non trova disegnatori per i suoi scarponi; in Brianza la riscoperta dell’agricoltura; a Napoli il ritorno di un professionista che lontano da casa non riesce più a esprimere la propria creatività. Poi Napoletano scopre la sofferenza nella gaudente Parma, le buche impietose di Roma, una ragazza senza più sogni a Palermo. Un “viaggio” che suscita in Napoletano anche rimpianti, stupori e rabbia. Ma in questa finestra aperta sull’Italia c’è posto anche per l’amicizia, la nostalgia e per i ricordi. Per il ricordo di uomini che con “modi e stili differenti raccontano di un Paese che aveva deciso di ripartire e ci riuscì” come Di Vittorio, Valletta, Vanoni, De Gasperi… Nonostante certe stravaganze, come quella che – racconta- accaduta a Paolo Baffi e testimoniata in una sua lettera a Berlinguer: “Gli ultimi tre governatori della Banca d’Inghilterra sono stati onorati come Pari del Regno, io dopo 50 anni di lavoro alla Banca d’Italia, a casa porto due incriminazioni”.
Ma la speranza dov’è? Dov’è, quando le macerie morali sembrano non finire mai? La speranza, dice Napoletano, nasce dagli imprenditori che si lamentano ma non mollano, fra i nostri giovani; nasce da un Paese che ha tutta la voglia di fare scatti di orgoglio, che ha voglia di ricominciare come hanno fatto i nostri nonni nell’immediato dopoguerra; sgorga da un Paese che non vuole cedere alla rabbia. Un Paese, sì sofferente il nostro, ma che non vuole rinunciare a lottare. Un Paese che ha un patrimonio di bellezze ma strutture imbarazzanti, che ha giovani “né in fuga né geni ma con tanta voglia di impegnarsi” e dove ognuno deve fare la propria parte. Proprio come dice una scritta letta da Napoletano su un muro dell’università di Buenos Aires: arremangarse la camisa, rimbocchiamoci le maniche. Al governo chiede solo verità: “Oggi questo Paese non ha bisogno di semplicismi e ottimismi di maniera ma di verità.” Ancora, esorta: “Nulla ci consente di essere ottimisti a cuor leggero ma anche nulla ci dovrà impedire di pretendere e costruire il cambiamento con le nostre teste e le nostre mani prima che siano altri a imporcelo”.
Gli ha fatto eco il rettore Giuseppe Zaccaria, intervenuto alla presentazione del libro: “Non è questo il tempo di processi ma della ricostruzione. Se a volte i sogni svaniscono non è sempre colpa della politica. Contribuiamo tutti insieme a creare una rete per dare all’Italia una spinta decisiva per uscire dal pantano della crisi”.
Valentino Pesci