SOCIETÀ
L’Open Access è legge anche in Italia

Una norma per garantire l’accesso aperto ai risultati della ricerca scientifica finanziata con fondi pubblici è finalmente approdata anche nel nostro Paese. Affogata nel Decreto Legge dell'8 agosto 2013, è stata approvata definitivamente dalla Camera il 3 ottobre 2013 e convertita con modificazioni dalla Legge 7 ottobre 2013, n. 112.
Il testo della norma, già contenuto nel decreto “valore cultura”, è stato formulato nella sua versione definitiva a seguito di vari emendamenti presentati in Senato (interventi che ne hanno peggiorato l’impianto originario, in particolare in merito al periodo di embargo degli articoli, allontanandolo dalle raccomandazioni europee). Anche se resta la soddisfazione per questo primo risultato.
Il successo ottenuto nasce infatti dalla spinta dei sostenitori dell’accesso aperto in Italia, dalla task Force Nazionale del progetto MEDOANET alla Commissione MIUR per l’OA, dal gruppo Gruppo Open Access della Commissione Biblioteche della CRUI all’Associazione Italiana Biblioteche. Un impegno che porta ora a guardare oltre, verso soluzioni più vicine a quelle adottate in altri Paesi.
In particolare ha suscitato critiche, nel confronto con le normative internazionali di riferimento, l'allungamento, nella legge appena varata, della fase di embargo distintiva della Via verde (Green route), ovvero la modalità OA che prevede la pubblicazione in archivi aperti, dopo un certo lasso di tempo, di articoli e ricerche originariamente apparsi su riviste a pagamento. Il testo licenziato prevede infatti un embargo di 18 mesi per le pubblicazioni delle aree scientifico-tecnico-mediche e 24 mesi per le aree umanistiche e delle scienze sociali: un periodo molto distante dai 6/12 mesi richiesti dalle raccomandazioni europee del 12 luglio 2012.
Tuttavia, in parallelo alla conversione del decreto “valore cultura” il Parlamento ha approvato nell’Ordine del giorno del 3 ottobre l’impegno del Governo a modificare in questo senso la norma appena attuata: una richiesta di modifica sottoscritta dai deputati Ilaria Capua e Stefano Quintarelli proprio per riallineare la neonata norma italiana ai tempi europei.
Mantenere un embargo più lungo rispetto ad altri Paesi comporterebbe del resto un tasso di citazioni più basso per le pubblicazioni degli autori italiani, una restrizione che non gioverebbe di certo, in termini di impatto, alla ricerca del nostro Paese. “L’accesso aperto ai risultati di ricerca è universalmente riconosciuto come uno strumento per ottimizzare e potenziare l'attività di ricerca - ha sottolineato Ilaria Capua, virologa e ricercatrice - e l'Italia non può continuare ad essere il fanalino di coda anche nell'attuazione di strategie che riguardano le politiche della ricerca".
A distanza di nove anni dalla Dichiarazione di Messina - sottoscritta del novembre 2004 da un piccolo nucleo di università - che è stata il punto di partenza per una vera e propria costellazione italiana di archivi aperti istituzionali (ad oggi oltre 70) si è finalmente riusciti a segnare un traguardo importante. Un risultato che non è certo un punto di arrivo, bensì un punto di partenza.
Antonella De Robbio