SOCIETÀ

Merci viaggianti in cerca di un piano

Moderata crescita nonostante la crisi, forte preoccupazione nonostante la crescita. Questi i due aspetti principali emersi nel seminario svoltosi in occasione dei quarant'anni dell'Interporto di Padova, festeggiati nell'aula magna dell'università, in omaggio al principale ispiratore del progetto dell'interporto. Che non fu un industriale, né un economista, né un amministratore bensì un matematico, Mario Volpato: professore di Calcolo delle probabilità all'università di Padova, nonché promotore, da presidente della Camera di commercio della città, di numerose iniziative, dalla banca dati del Cerved al progetto dell'interporto. Un esempio di quel che si può fare quando politica ed economia si esercitano sulla programmazione di lungo periodo e non sui profitti dell'immediato. Concepito come struttura di supporto per la nascente area industriale – adesso estesa su una superficie di oltre 11 milioni di metri quadri, per 27.000 addetti -, l'interporto di Padova è diventato uno dei primi d'Italia, 90 aziende insediate, con un giro d'affari di 370 milioni di euro, e oltre 3.000 dipendenti.

Ma come vanno le cose adesso, nel pieno della fase recessiva? Nel settore del traffico merci, si ragiona in “teus” (twenty equivalent unit, container equivalenti da 20 piedi): lo scorso anno a Padova sono transitati 250.000 teus, con un aumento del 26% sul 2011. Un risultato dovuto a una maggiore competitività dell'interporto di Padova rispetto ai diretti concorrenti, ai quali ha eroso quote di mercato, non certo a una crescita complessiva del traffico. Tra i dati illustrati dal presidente

Sergio Giordani, anche quelli sulla distribuzione del trasporto per mezzo prescelto: dei 4,4 milioni di tonnellate movimentati nel 2012,  il 43% ha utilizzato  il trasporto ferroviario. I mezzi stradali transitati nell'Interporto di Padova durante lo scorso anno sono stati oltre 300.000, di cui il 13% originante o destinato a mercati internazionali, che potrebbe essere convertito quindi in traffico ferroviario, considerata la competitività di questo modo di trasporto sulle lunghe distanze. 

Perché le preoccupazioni, dunque, se i dati mostrano una realtà che tiene? Ovviamente quel che pesa è il contesto generale. Più che la crisi – che richiederebbe interventi strutturali – quello che fa paura è l'immobilismo. Quello che porta a non scegliere, e non pianificare, tra i diversi vettori  dell'intermodalità: ferro, gomma, mare. Un esempio? Mentre aumentano le componenti di costo del trasporto, si assiste a una rincorsa al ribasso sui prezzi, che è resa possibile anche dai sussidi statali all'autotrasporto. Una guerriglia che non conduce da nessuna parte. Guardiamo invece cosa succede al di là delle Alpi: in Germania la fiscalità sul trasporto stradale finanzia gli incentivi all'intermodalità, e i maggiori paesi europei stanno egualmente intervenendo per sostenere lo sviluppo dell’integrazione tra strada e ferrovia. Invece in Italia ci sono stati solo timidi tentativi in tale direzione, e più da parte di alcune regioni, che non del governo nazionale. 

Eppure interventi “smart” di questo tipo servirebbero di più e costerebbero di meno di una nuova stagione di grandi opere: attenzione, ha detto il vicepresidente dell'Interporto di Padova Luciano Greco, abbiamo già 19 interporti in tutt'Italia, per 22 milioni di metri quadrati, e potenzialità di espansione immediata del 50%. Esiste quindi un eccesso di capacità infrastrutturale disponibile. Per Greco, occorre passare da una logica delle grandi opere alla logica delle opere utili e serve concentrare tutti gli sforzi per abbassare i costi di funzionamento delle infrastrutture. Non solo: la politica delle infrastrutture programmata, ha denunciato l'amministratore delegato delle Fs Mauro Moretti, è ancora ferma agli anni Ottanta del secolo scorso, mentre i flussi delle merci hanno cambiato direzione e le matrici di traffico si sono spostate da ovest a est. Ma la necessità di riorientare le risorse, cambiare l'organizzazione, sviluppare l'intermodalità fa a pugni con l'estrema frammentazione e nanismo del settore. E se Moretti ha candidato le Fs a svolgere un ruolo di  riaggregazione del settore logistico (un po' come hanno fatto Deutsche Bahn e Deutsche Post in Germania), in molti hanno lamentato, nel corso del seminario, il colpevole ritardo nel varo dell'Autorità dei trasporti – arenatasi nelle secche del Parlamento appena sciolto, e consegnata in eredità al nuovo.

In mancanza sia di un quadro regolatorio (quello che dovrebbe essere garantito dalla nuova Autorità) che di una programmazione politica nazionale, vince il localismo. E quest'ultimo, ha denunciato Luigi Merlo, presidente di Assoporti e dell'Autorità portuale di Genova,  conduce inevitabilmente ad una marginalizzazione logistica, in un mondo globalizzato. Basti pensare a quello che succede nella governance dei porti:  oggi le Autorità portuali sono la consacrazione dei conflitti di interesse, essendo composte da 23 membri ognuno dei quali rappresenta una constituency che difende i propri interessi. Ne vengono fuori assemblee rissose, nelle quali spesso il presidente dell'Autorità portuale finisce per svolgere quasi esclusivamente un ruolo di mediatore. 

Sergio Bologna ha posto in evidenza che c'è un problema fondamentale di politica industriale, e riguarda innanzitutto l'economia privata. Il Paese si regge ormai sulle esportazioni. In dieci anni l'incidenza delle esportazioni sul fatturato industriale è aumentata in Italia di ben 10 punti percentuali. E proprio per questo dovremmo riuscire a generare un mercato anche per i servizi logistici, come ha fatto la Germania. Invece, siamo diventati colonia della logistica gestita da altri, perdendo valore aggiunto. Le imprese logistiche dovrebbero investire per modernizzare i propri processi produttivi, e non lo fanno. Tutto il settore, ha sottolineato Sergio Bologna, ha preferito imboccare un'altra strada e un altro modello, ricorrendo a dipendenti a bassissimo costo, a un sistema di sub-appalti basati sulla rincorsa verso il basso dei salari, con scarsi investimenti nell'innovazione. Nel Veneto, come nel resto del Paese, la logistica genera non solo una espulsione di manodopera, ma una dequalificazione dei profili professionali. Esistono però segnali che inducono a guardare con cauto ottimismo al futuro della logistica. Le principali industrie di marca hanno avviato alcuni anni fa una iniziativa per riunire i loro sforzi per l'innovazione (progetto Ecr Intermodability). Dalle analisi condotte nell'ambito di questo progetto, circa 450.000 unità di carico potrebbero, teoricamente, essere trasferite al camion al treno. Se finalmente in Italia emergesse una politica per l'intermodalità, troverebbe forse una sensibilità nuova anche da parte del settore industriale. 

Pietro Spirito

POTREBBE INTERESSARTI

© 2025 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012