SOCIETÀ
Orti urbani crescono, autorizzati e anche no

La quarta semina primaverile dell'orto della Casa Bianca nel 2012: un “evento” curato da Michelle Obama al quale partecipano scolaresche da tutti gli Stati Uniti. Foto: Reuters/Jonathan Ernst
In tempo di crisi, l’Europa riscopre la terra. I lavori agricoli, da sempre bistrattati e considerati male per la fatica che richiedono e per gli scarsi ricavi, segnano oggi un nuovo punto di partenza per un’economia dell'autoproduzione e del piccolo commercio. Senza bisogno di grandi investimenti, ecosostenibile e collettiva. Gli esempi sono un po' ovunque.
In principio, un primo segnale era arrivato dalla Gran Bretagna, che nel 2008 vide sorgere Food to share, un movimento nato da un gruppo di cittadini di Todmorden, una cittadina industriale pesantemente colpita dalla disoccupazione nell’Inghilterra settentrionale, che decisero di mettere a disposizione dell’intera popolazione i prodotti dei loro orti privati per aiutare i concittadini a limitare i costi legati alle spese alimentari. Questo esperimento di orticoltura urbana si rivelò utilissimo non soltanto sotto il profilo economico, ma anche per l’integrazione sociale e per rinsaldare i legami comunitari. Tanto che, in pochi mesi, il movimento si allargò ai luoghi pubblici, diventando occasione di produzione e incontri.
Nel 2011 è stata la volta di Berlino. Il collettivo Nomadisch Grun ("Verde nomade"), divenuto poi associazione no-profit, iniziò nei pressi della Moritzplatz, nel quartiere Kreuzberg, un esperimento in grado di trasformare un appezzamento abbandonato di 6.000 mq in un grande orto urbano. Nel Prinzessinnengarten, il “Giardino della Principessa”, vengono coltivati ortaggi e frutta di ogni tipo destinati al mercato locale e all'autoconsumo. Si tratta di "orti nomadi", in cui le erbe aromatiche vengono piantate in sacchi del riso o del pane o in cassette della frutta riempite di terra. Questo consente di poterli spostare, adattando l’idea anche a spazi non idonei alla coltivazione, come quelli presenti nelle grandi città. Gli abitanti partecipano senza possedere appezzamenti individuali, ma collaborando e condividendo i raccolti. I bambini delle scuole possiedono invece alcune aiuole dedicate, per poter seguire tutte le fasi di coltivazione a scopo didattico.
Sulla scia di questi progetti innovativi, in Olanda è nato Van Bergen Kolpa Architecten, il progetto di un parco metropolitano nella città di Nijmegen, studiato in modo da diventare una fattoria-mercato in grado di fornire alla città la maggior parte dei prodotti di prima necessità, promuovendo una forte interazione tra gli abitanti e ambiente.
In America, a fare di queste realtà un successo mediatico è stata Michelle Obama con l'"Orto della Casa bianca", nato nel 2009. Nel suo libro American Grown: the story of the White House Kitchen Garden and Gardens Across America, pubblicato nel 2012, la first lady incoraggia i lettori a crearsi orti di ogni genere, sfruttando tanto gli appezzamenti liberi di terreno nelle città, quanto piccoli vasi sui davanzali degli appartamenti. ll ricavato della vendita del libro sarà destinato a National Park Foundation, un’associazione no-profit che userà i fondi per promuovere giardinaggio, attività all’aria aperta e campagne di alimentazione sana per i giovani.
L’orto di Michelle - il primo nella storia della Casa Bianca – ospita ogni anno moltissime scolaresche che si cimentano nella coltivazione e nella raccolta dei prodotti, e ci sono molti volontari che si prendono cura delle piante; Charlie Brandts, falegname della Casa Bianca con l’hobby dell’apicoltura, ha anche costruito un alveare per la produzione del miele. Parte del raccolto viene donato a Miriam’s Kitchen, associazione che si occupa di fornire cibo ai senzatetto di Washington, ma la “bancarella” più prestigiosa è quella del pranzo a Camp David riservato alle mogli dei leader del G8 a base di verdure fresche dell’orto, mentre in passato obiettivo dell’operazione “vasetti di sottaceti e verdure di conserva” sono stati i funzionari delle Nazioni Unite. Una mossa "a tutto campo" quindi, che unisce la promozione dell'autoproduzione e di stili di vita più sani alle pubbliche relazioni, riavvicinando la famiglia presidenziale alla gente comune.
Dal canto nostro, anche l’Italia, che a lungo è sembrata vergognarsi del suo ancora prossimo passato contadino, si sta dimostrando sensibile a queste tematiche. Ed è un fiorire di iniziative, da quelle pubbliche a quelle private, dai "nuovi contadini" a gruppi di persone nelle città che danno vita a orti e coltivazioni, riconosciute o meno. Nell’ultimo anno sono aumentate esponenzialmente sia i progetti delle singole città per aprire orti e giardini urbani fruibili dalle comunità, magari impiegando cassintegrati e disoccupati nella bonifica di aree pubbliche dismesse, sia le iniziative di gruppi e singoli cittadini che realizzano spazi verdi nei luoghi più improbabili: dai tetti delle palestre in periferia, ai sanitari del bagno cambiati ma non gettati. O, semplicemente, rimettendo a coltura dopo decenni gli spazi verdi di abitazioni e condomini.
E forse questi piccoli gesti, complice la crisi ma anche il desiderio di sapere cosa mangiamo, porteranno l’autoproduzione "a impatto zero" a raggiungere - magari presto - anche i nostri giardini presidenziali.
Gioia Baggio