SOCIETÀ

Il ritorno della solidarietà? I valori degli italiani secondo il Censis

Un Paese provato, ma che cerca ancora dentro di sé le forze per reagire e guardare al futuro. Che sente sempre più come un peso l’individualismo e il consumismo fine a se stesso degli ultimi anni, e che vuole tornare a una dimensione maggiormente sociale. È questo il quadro tracciato dal Censis nel suo secondo rapporto I valori degli italiani, edito con Marsilio e presentato proprio in questi giorni.

A dirlo sono i numeri raccolti dall’Istituto di ricerca. Alla domanda su cosa, in una valutazione da 1 a 10, dia la carica per affrontare la vita quotidiana, il 46,2% degli intervistati attribuisce il voto massimo ad “Aumentare il benessere della mia famiglia”, il 36,9% a “Vivere una storia d’amore”. Gli italiani continuano quindi a trovare motivazione soprattutto alla sfera privata e familiare, anche se la direzione non sembra strettamente autoreferenziale. Attenzione però: al terzo posto c’è “Aiutare chi è in difficoltà”, possibilmente senza la mediazione di sovrastrutture burocratiche o sociali. Molto più indietro le motivazioni strettamente personali, come il piacere di fare un lavoro importante (21,4%) o di provvedere al proprio benessere, ad esempio mediante massaggi e palestra (appena il 16%).

Tanto basta agli analisti del Censis per dedurre (o forse sperare) che la “crisi antropologica” che ha segnato il nostro paese negli ultimi anni – caratterizzata da egoismo diffuso, passività e irresponsabilità – potrebbe “aver raggiunto il punto massimo e aver esaurito la propria spinta propulsiva”. Certo, il ritratto che esce non è quello di un paese in salute: l’85% degli intervistati si dice preoccupato, il 71,2% indignato; il 13% arriva a definirsi disperato, con una percentuale che al Sud cresce fino 17,7%. Poco più di quattro italiani su dieci (tra cui più della metà delle persone sotto i 45 anni) credono nel futuro e lo progettano, intanto quasi il 60% degli italiani si sente "vitale", compreso il 47,7% degli over 65.

Resta quello che sembra il ritorno di una prepotente voglia di socialità, di una condivisione vera di valori, esperienze e soprattutto obiettivi. Un desiderio di relazioni collaborative che si esprime anche sul posto di lavoro, non però dappertutto allo stesso modo: ritiene ad esempio particolarmente importante collaborare con i colleghi il 35,3% degli imprenditori e il 30,7% degli artigiani, contro il 18,6% degli impiegati e appena il 9,5% dei dirigenti. Proprio le categorie che nel bene e nel male sono state un po’ il simbolo dello slancio individualista degli ultimi anni e di un’intera fase economica, sembrano ora guidare – nell’analisi degli esperti del Censis – la tendenza inversa. Forse perché, sembra suggerire l’istituto di ricerca, hanno visto che nella competizione globale non basta più fare tutto da soli: sempre più servono anzi organizzazione e, soprattutto, lavoro di squadra.

La questione, si domandano gli autori, è dove ci porterà questo desiderio del ritorno della sfera sociale: se verso il passato, alla ricerca di dimensioni apparentemente più protettive e familiari ma anche meno vitali, oppure verso percorsi nuovi. Il pendolo dell’egoismo insomma, per usare l’immagine scelta per la copertina del rapporto di quest’anno, ha raggiunto il suo culmine, ma non si sa ancora bene la direzione che prenderà al ritorno. Alcuni dati sembrano ad esempio suggerire in questa situazione di stallo possa giocare un ruolo importante anche la paura della competizione e, forse, anche del merito. Il 61,6% dei soggetti coinvolti non sarebbe ad esempio disposto a barattare una maggiore flessibilità lavorativa in cambio di maggiori opportunità occupazionali; il 74% non vuole meno servizi pubblici in cambio di meno tasse. Addirittura il 70,5% preferisce piccoli ospedali vicino casa rispetto a strutture più grandi ed efficienti.

Un secondo problema è che a questa domanda di socialità per il momento non corrisponde un’offerta adeguata, in termini di modalità e di luoghi in cui sperimentarla concretamente. Il 45,8% degli intervistati ammette infatti di trovarsi nella condizione di chi vorrebbe fare qualcosa, senza sapere esattamente cosa; il 67,1% di essi non si sente rappresentato da nessuno. Una situazione in cui il diffuso discredito dei canali tradizionali dell’impegno sociale e civile – a cominciare da partiti politici e sindacati – potrebbe insomma esporre un grande patrimonio di energie al rischio di restare disorientato e inutilizzato. Se non addirittura manipolato o sviato: purtroppo non sarebbe la prima volta.

Daniele Mont D’Arpizio

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