SOCIETÀ

In rosso per comprarsi da mangiare

Ma è proprio vero che stiamo meglio, come va spiegando l’ineffabile presidente del Consiglio? [ndR all'epoca Silvio Berlusconi] Bepi Covre, imprenditore trevigiano, è stato per dieci anni sindaco di Oderzo, 17mila anime nel cuore del Nordest del benessere. E anche adesso che non fa più politica, la sua gente la conosce a fondo. Così, per rispondere alla domanda, propone una sorta di Istat fai-da-te: “Basta mettere il naso in una pizzeria qualunque. Fino a qualche tempo fa c’erano clienti tutte le sere, non parliamo del fine settimana. Adesso c’è vita solo al sabato, qualcosa di meno la domenica, per il resto è un pianto greco”. Si può fare anche una controprova: contare il numero delle pizzerie da asporto, che si stanno moltiplicando anche nei piccoli centri. I più organizzati arrivano con le sedie, ordinano, si accomodano per l’attesa, poi  tornano a casa col loro cartone in mano. E c’è chi fa in modo ancora più scientifico, come spiega Luciano R. in una lettera al Gazzettino: “Ci siamo accordati con un gruppo di amici. Uno compra le pizze surgelato al supermercato, un altro arriva con i funghi, un altro ancora col prosciutto. Poi ce la agghindiamo in proprio a casa di qualcuno di noi a turno”.

Nel suo piccolo, la pizza-story rileva quanto bisogna lavorare di fantasia anche nel ricco Nordest per far quadrare i conti. Problema trasversale, segnala l’Eurispes: negli ultimi quattro anni, un dirigente ha avuto un calo del potere d’acquisto del 7 per cento, un operaio del 9, un impiegato del 13. E il Codacons spiega che l’aumento dei prezzi e delle tariffe dal 2002 a oggi ha disastrato i bilanci delle famiglie venete. A supporto di questa affermazione, propone un raffronto tra i redditi nostrani e quelli di alcuni Paesi europei, traducendolo in un singolare ma efficace indicatore del potere d’acquisto, il numero di carrelli della spesa in un anno. Ne usciamo decisamente malconci: un nostro autoferrotranviere prende la metà del suo collega irlandese, e arriva a 9 carrelli contro 17; una segretaria introita metà della sua collega belga, e mette assieme 7 carrelli; un metalmeccanico arriva a meno della metà del suo collega olandese, e pure lui si ferma a 7 carrelli; un insegnante schiatta d’invidia leggendo la busta-paga del suo collega lussemburghese che prende tre volte più di lui, accumulando 29 carrelli contro appena 10. Intanto Confcommercio segnala che per la prima volta c’è un crollo delle vendite al dettaglio a Nordest: meno 3 per cento.

C’è un’altra contabilità del caro-vita, ed è proposta dalla Lista Consumatori. Lo scorso anno, i veneti si sono indebitati per 3,8 miliardi di euro a causa del credito al consumo, e a fine 2005 si dovrebbe arrivare a 4,5 miliardi; i prestiti sono cresciuti del 21 per cento, e ogni veneto (neonati compresi) in media risulta indebitato per 850 euro. Per forza, ribatterà il solito esperto: se vogliono comprarsi il macchinone e la tv al plasma… Ma non è così, ribatte Carlo Rienzi, presidente di Codacons: “Un tempo si ricorreva ai prestiti per l’automobile o il grande elettrodomestico, adesso lo si fa per riuscire a mantenere lo stesso tenore di vita ordinario degli anni passati. Ai finanziamenti si ricorre per tutti i tipi di acquisti, dai libri ai viaggi, passando per i generi di prima necessità come pasta, uova, farina, e per i pranzi di nozze. Ma è una pratica pericolosa: se adesso siamo abituati all’idea di comprare un prodotto e cominciare a pagarlo dal 2006, dovremmo ricordarci che prima o poi arriva il momento di dover saldare le rate; e il nostro stipendio non sarà certo più elevato di quello attuale”.

Se si passa a qualche approfondimento, si arriva a situazioni che portano sul limite della soglia di povertà. Spiega un operatore della Caritas sulla breccia da anni: “Da tempo stiamo registrando un crescente numero di pensionati che ci contattano perché non hanno soldi per comprare neppure l’olio”. Conferma Ivan Pedretti, segretario generale del sindaco pensionati veneto della Cisl: “La continua erosione del potere d’acquisto delle pensioni, e il progressivo ridimensionamento del welfare, hanno determinato una situazione di forte criticità, col rischio di consegnare all’emarginazione le fasce più deboli. L’allargamento della disparità sta producendo sacche di vera e propria indigenza, soprattutto per gli anziani soli, molti dei quali non sono più in grado di mantenersi”.

Non riguarda solo i pensionati. Spiega Maurizio Rasera, ricercatore dell’Osservatorio veneto sul mercato del lavoro: “Il nostro reddito pro capite è di 20 punti superiore alla media dell’Unione Europea; ma anche in una comunità ricca come la nostra ci sono dei poveri. A Nordest forse 100mila persone sono sotto la soglia di  povertà assoluta, e 360mila al di sotto di quella di povertà relativa”. Può sembrare stridente questa mappa applicata a un’area con i tassi di disoccupazione più  bassi al mondo. Ma Rasera invita a ragionare con schemi diversi: “E’ vero che la nostra è una società  benestante; però il sistema è  stato capace di integrare le fasce più deboli all’interno del sistema produttivo in una maniera che non sia solo burocratica. E per fasce deboli non intendo solo quelle esposte al rischio povertà, ma specialmente i disabili, e tutti coloro che hanno difficoltà a entrare nel mercato del lavoro. Il sistema produttivo richiede un’enorme efficienza su tutti i piani, ed è costruito attorno al lavoro di molti. Chi non riesce a stare al passo e si discosta in maniera significativa dal possedere le caratteristiche richieste, si trova facilmente emarginato, vicino alla soglia di rischio, soprattutto se si trova a essere solo. Il sistema ricco non ha trovato le risorse per risolvere i problemi dei più deboli”.

 

Francesco Jori

da Il Gazzettino, settembre 2005

 

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