SOCIETÀ

Scuola: in attesa che si alzi il sipario riflettiamo su cosa attenderci

In questi giorni ne abbiamo sentite di ogni sorta: 100.000 insegnanti assunti l’anno prossimo, anzi in tre anni, concorsoni, docenti divisi in tre fasce, aumento dell’orario di lavoro, più informatica, più lingue, nuovi meccanismi di abilitazione. E mille altre ipotesi, voci, cifre, che si riassumono nel numero-totem: un miliardo di euro per la nuova scuola. Il susseguirsi di annunci e anticipazioni sulla riforma Renzi-Giannini ha prodotto un’enorme eco mediatica, in cui ogni sussurro viene ripreso, deformato, commentato dagli interlocutori più diversi. Tentiamo, allora, di fare un po’ di ordine e capire che cosa succederà di qui ai prossimi giorni, quando il piano del governo per la scuola verrà – progressivamente – svelato.

Al momento non è nota la data del futuro consiglio dei ministri in cui la riforma verrà discussa. In ogni caso, per ora l’ipotesi più accreditata è che nel Cdm vengano approvate le sole linee guida, ossia il documento politico che traccerà (ampiamente ma senza entrare nel dettaglio) le direttrici della riforma scolastica. Avremo così (nella conferenza stampa che seguirà la riunione dell’esecutivo) i primi annunci ufficiali dei provvedimenti cardine, i più attesi, come quelli relativi alle assunzioni e alla valutazione degli insegnanti. Secondo il nuovo stile di comunicazione, è probabile che vengano diffusi schemi e slides per riassumere le innovazioni proposte.

A partire dall’approvazione dei princìpi della riforma in Cdm saremo dunque in grado di ragionare sulle prime notizie concrete, che andranno comprese e analizzate nel dettaglio nei giorni successivi, quando agli annunci si sostituiranno (lentamente) gli atti che verranno diffusi alla stampa (e anche qui non mancheranno testi ufficiosi che, prima del varo definitivo, spunteranno in Rete). È presumibile che al Cdm si presentino linee guida “aperte”, sulle quali si aprirà il confronto con tutte le categorie interessate, che scaturirà in decreti applicativi. Questi saranno numerosi e scaglionati, e solo una piccola parte, ovviamente, troverà la via breve del decreto-legge: tutti i provvedimenti poi, ma in particolare quelli che diverranno disegni di legge e imboccheranno, prima di entrare in vigore, la strada del dibattito parlamentare, potranno subire modifiche sostanziali rispetto ai primi testi che verranno diffusi dal governo. Senza contare il nodo, sgradevole ma scarsamente prescindibile, delle coperture finanziarie della riforma, che dovranno essere precisate in tempi certi per eliminare eventuali dubbi o scetticismi, presso il ministero dell’Economia ma anche in ambito europeo, sulla sostenibilità dei nuovi impegni economici che la nuova scuola Renzi-Giannini comporterà.

Tutte premesse doverose, vista la portata dei cambiamenti al sistema scolastico su cui lo stesso governo ha alimentato grandi aspettative. Nella pirotecnia di anticipazioni giornalistiche sui contenuti della riforma, riassumiamo le ipotesi più ricorrenti. Le assunzioni, anzitutto. Sembrerebbe confermata la quota-simbolo di 100mila insegnanti in tre anni, a partire dall’anno scolastico 2015/2016. Ciò che è da chiarire è il criterio di selezione. Secondo la legge vigente bisogna seguire il principio “metà da graduatorie, metà da concorso”: ma l’intento che sembra alla base del piano, quello di abbattere il precariato, sembrerebbe far propendere per un ricorso massiccio agli elenchi degli uffici scolastici, più che a immissioni da maxiconcorsi. Altro capitolo fondamentale è la (presunta) abolizione delle supplenze brevi, con la creazione di un “organico funzionale” che permetta di utilizzare per cattedre annuali o di minore durata contingenti di insegnanti a disposizione di più istituti collegati tra loro.

Quanto alla valutazione dei docenti, l’ipotesi di cui si sussurrava (carriere divise in tre livelli a seconda del merito) sembrerebbe accantonata: più realistico introdurre degli incentivi basati su incarichi opzionali, che comportino l’allungamento dell’orario di lavoro; il budget supplementare verrebbe gestito in autonomia dagli istituti. L’aggiornamento professionale, inoltre, diventerebbe obbligatorio. Sul fronte della didattica, offuscato il progetto di ridurre a quattro anni la durata delle superiori, potrebbe esserci l’estensione del Clil, l’insegnamento di discipline non linguistiche in idiomi diversi dall’italiano; l’introduzione dell’informatica già nella scuola primaria; più educazione musicale e storia dell’arte; la promozione della mobilità internazionale degli studenti, con programmi simili all’Erasmus per gli ultimi anni delle superiori. Più tirocini in azienda negli istituti tecnici e professionali, e incentivi fiscali per i privati che investono sulla scuola. Sembrerebbe invece tramontato, o almeno rinviato, un rafforzamento del sostegno pubblico alle scuole paritarie, che ambiscono a ridurre i tagli dei contributi ministeriali.

Queste sono solo alcune delle decine di ipotesi emerse sui quotidiani. Ancora pochi giorni, e cominceremo a capirne di più: ma per una riforma così ambiziosa, va ripetuto, i reali contorni emergeranno progressivamente. Sarà poi il confronto tra forze politiche, categorie, forze sociali a decidere che cosa rimarrà delle intenzioni iniziali: su tutto, basti l’esempio dei molti tentativi di differenziare il trattamento economico degli insegnanti. Una sfida azzardata, nel tempo, da più ministri, regolarmente sgretolatasi contro i bastioni sindacali.

Martino Periti

POTREBBE INTERESSARTI

© 2025 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012