CULTURA

Sullo scaffale: T di Chetna Maroo

T di Chetna Maroo (Adelphi, 2024) è un romanzo breve, scritto sontuosamente, delicato e maturo: un esordio che si fa notare, nel mare sterminato della produzione narrativa contemporanea, uscito dalla penna di una (giovane? – in rete non si trova indicazione della sua data di nascita –) autrice indiana, nata a Nairobi in Kenya, naturalizzata britannica e che si è guadagnato la presenza nella lista breve dei romanzi segnalati per il Booker Prize 2023.

In Inghilterra il romanzo esce con il titolo di “Western Lane”, il luogo dove Gopi, la protagonista, impara a giocare a squash insieme alle sorelle per fare felice il papà, subito dopo la morte della mamma. In italiano “T” allude invece alla zona del campo della medesima forma lungo la quale i giocatori si muovono, e infatti il libro inizia così: “Non so se siete mai stati al centro di un campo da squash, sulla T, ad ascoltare cosa succede nel campo vicino. Penso al suono della palla colpita da un tiro deciso, pulito. […] Ecco cosa sento se ripenso a quell’anno dopo la morte di nostra madre, quando nostro padre ci faceva allenare a Western Lane due, tre, quattro ore al giorno”.

Non si deve immaginare, però, che T sia come Open, il libro sulla vita di André Agassi, anche lui divenuto tennista per volontà paterna, uscito dalla penna del giornalista J. R. Moehringer (che ha firmato pure Spare, la biografia di Henry d’Inghilterra), perché T è un romanzo delicatamente intimista: lo squash è sostanzialmente un pretesto. Gopi sarebbe stata la stessa se invece dello squash ci fosse stata la pittura, o il latino, o il teatro. Si sarebbe evoluto in egual modo il rapporto con le sorelle più grandi di due e quattro anni, Khush e Mona, anche se non fosse stato lo sport a scandirne le scelte, la zia Ranjan avrebbe probabilmente avuto la stessa imperiosa cura di loro tre, perché si sarebbe in ogni caso sentita chiamata a sostituire le attenzioni materne, e quasi sicuramente Gopi avrebbe provato i primi batticuori di lì a poco, comunque, se non per un giocatore di squash, Ged, per un altro ragazzo, ma, in definitiva, quello che Chetna Maroo ci mostra è cosa succede in una famiglia quando un equilibrio si rompe e si ricompone; cosa succede nell’animo di una ragazzina quando inizia a diventare donna; cosa succede alle abitudini di un padre messo per la prima volta faccia a faccia con le sue figlie e la responsabilità delle loro vite.

Il romanzo è costruito per dettagli e dialoghi, in un racconto in prima persona che è come ricostruisse il livello di comprensione che la protagonista ha degli accadimenti. Emozioni e ragionamenti si fondono nella narrazione dei fatti e riportano il lettore al proprio, di Bildungsroman: crescere è estremamente complicato, anche quando non ti muore una madre quando hai 11 anni, anche quando non ci si aspetta che tu diventi un’eroina dello squash, anche se non hai delle sorelle che sentono la presenza dello spirito materno nelle stanze e negli scricchiolii notturni della casa di famiglia.

Già altri autori inglesi di origini non europee ci hanno abituati a quel melting pot di usanze che anche qui ritroviamo (Hanif Kureishi, per esempio), ed è rassicurante rendersi conto come tutto si tiene e si somma, invece che sottrarsi: “Su ciascun piatto d’argento misero una ciotolina d’argento con il dal, un laddu intero, shaak di patate, riso, puri, insalata di cipolle e pomodori, e una seconda ciotola d’argento con tre gulab jamun. I capelli di Khush le si continuavano ad appiccicare alla fronte e alle guance accaldate, e lei continuava a scostarli. Quando vidi che versava una cucchiaiata supplementare di sciroppo sui miei gulab jamun con i capelli quasi immersi nel liquido, mi sforzai di guardare da un’altra parte”. E lo sforzo che a Gopi viene richiesto per tracciare la direttrice del suo futuro parla invece un linguaggio universale, che ha le stesse sembianze in ogni dove, indipendentemente dalla cultura d’origine: “Mi giravo di scatto per seguire ogni palla e alla fine la caviglia cedette. Il dolore fu una scossa gelida nella testa. […] Dopo tre settimane cominciai a sognare Western Lane. Vedevo i muri bianchi e gli alberi in fiore. Di notte mi alzavo e andavo alla finestra, dove un po’ di luce filtrava dalle tende. Mi sedevo a terra con la racchetta in mano e la schiena appoggiata al termosifone”.

Chetna Maroo in questo romanzo, che sembra un frammento e non si vorrebbe invece che finisse mai, disegna con un sottile gesso bianco i legami invisibili che definiscono le vite fin dalla prima adolescenza, in una tensione verso la scoperta che non è mai urlata: “Zio Pavan mi aveva detto che il cielo era limpido e stavamo vedendo gas, polvere e la luce di più di un miliardo di stelle. Era la nostra galassia, aveva detto, e noi la stavamo guardando dall’interno, com’era forse decine di migliaia di anni fa. Era possibile che queste stelle ormai non esistessero più. “Ma le stiamo vedendo” dissi. “Sì”.

Era possibile che queste stelle ormai non esistessero più. “Ma le stiamo vedendo” dissi. “Sì” Chetna Maroo, T

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