SOCIETÀ
Nuove tecnologie e inclusione

Le giornate Nova 24 che si realizzano all’interno del nostro ateneo desiderano portare l’attenzione sul valore dell’innovazione e della creatività, grazie ad eventi e intrecci di persone e voci con background disciplinari ed expertise diversi. Vi è il desiderio di promuovere una cultura dell’innovazione e della creatività quale via per favorire il cambiamento e la crescita. La collaborazione fra enti ed istituzioni diverse, il coinvolgimento dell’intera comunità, partono dall’idea che l’innovazione necessiti di contesti che favoriscano tutto questo, grazie alla presenza di persone che abbracciano e coltivano il cambiamento, pronte ad abbandonare la propensione a rimanere vincolate al passato e ancorate a vecchie abitudini professionali.
Questa spinta all’innovazione passa anche attraverso l’attenzione alle nuove tecnologie, una espressione che rimanda a un’ampia gamma di possibilità, materiali e processi. Si possono individuare nuove tecnologie per l’educazione, per l’industria, per l’arte, per la medicina, per la comunicazione... L’elenco è più articolato e complesso. Con il loro espandersi si è cominciato a riflettere sui vantaggi e gli svantaggi che esse comportano. Approfondendo la questione appare evidente che non vi sono risposte certe e che queste dipendono da diversi fattori, e in particolare dai criteri e valori di riferimento. Vorrei soffermarmi su uno di questi, che le società attuali non possono più esimersi dal non considerare: l’inclusione.
L’inclusione, come sostenuto insieme ai colleghi che partecipano all’organizzazione del General Course ‘Diritti umani e inclusione’ nel nostro ateneo, aperto a tutti gli studenti e agli interessati, riguarda l’assicurarsi che i contesti siano in grado di garantire ad ogni persona, con le sue unicità, la partecipazione attiva alla vita sociale e civile, prevedano il riconoscimento della dignità umana, in tutte le sue espressioni, agiscano in modo che ognuno possa beneficiaredi tutti i diritti e libertà fondamentali. In questa ottica i sistemi di supporto non sono un ‘favore’ da fornire a vantaggio dei meno fortunati, ma una responsabilità civile nei confronti di coloro che vivono nei nostri contesti. Essa necessita di numerosi ‘difensori’ e una lotta costante alle barriere, che vanno ben oltre quelle architettoniche, e si annidano nel linguaggio utilizzato, nei pregiudizi sociali, nelle scelte amministrative e politiche. Alla luce di ciò possiamo chiederci: le nuove tecnologie sono barriere o facilitatori?
Considerando studi e ricerche, svolti anche all’interno del Centro di ateneo per la disabilità e l’inclusione dell’università di Padova, sappiamo che la risposta non è semplice. Partiamo da degli esempi: nell’ambito della formazione vi sono tecnologie che permettono di organizzare lezioni con accorgimenti e contenuti multimediali capaci di coinvolgere diversi apparati sensoriali, di costruire materiali nuovi che possono essere ulteriormente ampliati e resi consultabili in diverse modalità, di dare vita a condizioni di formazione a distanza (Mooc), e di gestire forme altamente personalizzate di apprendimento (piattaforme online), ecc. Nell’ambito lavorativo si può fare riferimento a tecnologie assistive e riabilitative utili a favorire l’indipendenza delle persone con disabilità. Si pensi ai bluetooth beacons, che inviano continuamente segnali, con raggi d’azione regolabili a seconda delle esigenze, favorendo la trasmissione di messaggi e indicazioni in tempo reale per la prosecuzione delle attività lavorative, o al Microsoft Kinect, dispositivo dotato di una videocamera e di un sensore di profondità che permette di rilevare in modo tridimensionale i movimenti del corpo, che può essere programmato per rilevare una serie di azioni e riconoscere se queste sono svolte correttamente e quindi per fornire feedback e suggerimenti quando necessario. Si sta facendo strada il contributo della robotica nel rendere possibile lo svolgimento di azioni ‘impossibili’ ad alcuni, sino a pensare all’avatar robotico capace di garantire forme di partecipazione ‘a distanza’.
Affinché le nuove tecnologie siano però e di fatto alleate dell’inclusione è necessario considerare una serie di aspetti, andando al di là delle mode e dei possibili ‘richiami suadenti’ di coloro che le promuovono, e muoversi con professionalità, scelte consapevoli, e forme di ‘innovazione sociale’. Vanno infatti esaminati, ad esempio, l’usabilità/accessibilità della tecnologia, ovvero la possibilità di utilizzarla con una certa facilità, di capire abbastanza velocemente le operazioni che devono essere compiute per il loro avvio ed impiego, in sintonia con eventuali normative (legge Stanca, 2004); la flessibilità/adattabilità della tecnologia, ovvero il poter personalizzare e adattare i contenuti delle applicazioni in funzione sia delle persone che dei diversi contesti; la mobilità, ovvero il poter fare riferimento soprattutto a dispositivi che possono essere utilizzati in ambienti diversi per aumentare le occasioni di personalizzazione; gli accomodamenti ambientali necessari per poter ‘accogliere’ le nuove tecnologie; i costi e i tempi della formazione di coloro che frequentano i contesti in cui verranno utilizzate affinché sia possibile un uso effettivo, efficace e condiviso. Come si può constatare, l’utilizzo delle nuove tecnologie richiede un progetto complesso, coadiuvato da frequenti e costanti azioni di verifica e monitoraggio, che faccia luce su quanto, di fatto, il loro utilizzo concorra a costruire un contesto che rifugge l’esclusione e la discriminazione e permetta a tutti di partecipare attivamente.
E procedendo, appare evidente che è necessario, anche, fare molta ricerca: sono infatti pochi gli studi che si sono proposti di analizzare l’impatto delle nuove tecnologie sui livelli di inclusione, di mettere in evidenza l’efficacia e le condizioni essenziali per la loro validità sociale. Il rischio è che questo vuoto venga colmato da pensieri e credenze naive sul loro ruolo e dalla superficiale propensione a considerarle una ‘panacea’.
Inoltre, e per concludere, dobbiamo ricordare un altro aspetto che sta diventando ‘visibile’ ai più, e per alcuni preoccupante, ovvero il fatto che un numero via via crescente di esseri umani, soprattutto se con disabilità e vulnerabilità, sta per essere sostituito, nel proprio posto di lavoro, da una macchina, senza che nel frattempo si sia riusciti ad immaginare un loro possibile ricollocamento.
Così un ancoraggio rigoroso ad una visione inclusiva delle società in cui viviamo ci può aiutare a riflettere e compiere scelte attente alla qualità della vita e ai diritti di tutti ad una piena partecipazione e ad un lavoro decente, in sintonia con la Convenzione dei diritti delle persone con disabilità ratificata dal governo italiano nel marzo 2009, la strategie 20 20 dell’Unione Europea, l’agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, le raccomandazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), tanto per citare alcuni documenti riconosciuti. Tale ancoraggio può segnare la via per la costruzione di un pensiero complesso che vada oltre semplici dialettiche orientate al facile guadagno a breve termine, ancorate alla logica del profitto, o a makiage superficiali di innovazione, per la sperimentazione di modelli sociali innovativi attenti al bene di tutti e ancorati a virtù civiche che considerano di fatto la sostenibilità, la biodiversità, l’eterogeneità e l’unicità, dei valori imprescindibili.
Laura Nota