SOCIETÀ

Pensioni, diritto intoccabile?

Non finisce qui, questo è certo. Il provvedimento annunciato dal governo in materia di pensioni scontenterà infatti molti beneficiari dell’ultima sentenza della Corte Costituzionale, che annullava il blocco dell’adeguamento al costo della vita per il 2012 e 2013, e già si preannuncia uno tsunami di ricorsi. Con quali possibilità di riuscita tentiamo di capirlo con Antonio D’Aloia, docente di diritto costituzionale presso l’università di Parma con all’attivo diversi studi sul tema dei diritti sociali e sulla questione della solidarietà intergenerazionale: “È difficile dare un giudizio senza avere il testo definitivo del provvedimento. Temo che tra le fonti del diritto dovremo presto annoverare le slides del governo – scherza lo studioso –. Mi sembra comunque abbastanza chiaro che si tratta di un’attuazione molto parziale della sentenza della Corte: appena 2 miliardi di euro impiegati sui 18 riportati da alcune stime”.

In effetti la Corte Costituzionale aveva censurato non tanto il blocco in sé (altri provvedimenti simili sono stati giudicati legittimi), quanto le modalità: in particolare la durata biennale, il fatto che si applicasse anche ai trattamenti pensionistici di importo meno elevato e la mancanza di una gradualità. Del resto, secondo D’Aloia, anche le soluzioni alternative erano difficilmente praticabili: “Come ho già scritto in maniera più diffusa, se leggiamo attentamente la sentenza è la stessa Corte Costituzionale a indicare i margini per correggere la norma dichiarata incostituzionale, al tempo stesso limitando i danni sulla finanza pubblica. Per il futuro non credo che la Consulta avrà ancora voglia di far saltare il tavolo; anche se, mi lasci dire, parlare di bonus per i pensionati come fa il governo è a dir poco irritante”. 

Non è la prima volta che la Corte Costituzionale mette uno stop ai provvedimenti di contenimento della spesa: già nel 2013 era stata annullata una norma che disponeva un contributo a carico delle pensioni oltre i 90.000 euro lordi. In quel caso il provvedimento era stato ritenuto discriminatorio, in quanto applicato solo ai redditi da pensione e non a quelli da lavoro. Il problema però è generale: in Italia mettere in discussione i diritti acquisiti – o quesiti, come si dice più comunemente nel linguaggio giuridico – è compito a dir poco arduo. Per questo le grandi riforme, dalla Dini sulle pensioni nel 1995 al Jobs Act, valgono normalmente solo per il futuro, dividendo i cittadini in diversi regimi giuridici. E spesso a pagare sono proprio i meno garantiti. Bisogna infatti tenere conto che tutti i buchi eventualmente causati dall’ultima sentenza nel bilancio dell’Inps – già in disavanzo – dovranno per forza essere ripianati dai lavoratori, che però con il regime attuale sono già sicuri di prendere pensioni molto più basse

Da dove viene l’intoccabilità dei diritti sociali? “Essenzialmente dal principio di non retroattività della legge, accompagnato da quello della tutela dell’affidamento. Il lavoratore confida in un determinato regime contrattuale, economico e giuridico: cancellarlo retroattivamente significa cancellare la certezza del diritto, uno dei cardini della fiducia nello stato. Si tratta di un problema serio, non di un privilegio; in una situazione difficile come quella attuale credo però che anche i diritti quesiti possano essere rimessi in discussione”. Per quale ragione? “Spesso si parla di crisi come se si trattasse di una fase transitoria: in realtà i problemi del welfare e delle pensioni sono strutturali. Occorre ridefinire il sistema, e forse non è giusto farlo tirando semplicemente una linea tra i garantiti al 100% e chi viene dopo”. Quello proposto dal costituzionalista è un nuovo paradigma di equità intergenerazionale, che parta dal dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione: “Del resto una logica di solidarietà intergenerazionale esiste già, dato che oggi chi lavora paga gli assegni di chi è in pensione. Quando parliamo di generazioni non parliamo di entità che vivono separate ma di persone che si incontrano, vivono lo stesso periodo storico: i sacrifici non dovrebbero quindi gravare esclusivamente su una coorte. In gioco non c’è solo un interesse astratto al riequilibrio dei conti pubblici: questo è a sua volta il presupposto per tutelare in futuro i diritti sociali fondamentali dei giovani cittadini e di quelli futuri”.

Il problema è come mettere in atto questo eventuale riequilibrio, stanti anche i paletti posti dalla stessa Corte Costituzionale. Tito Boeri a suo tempo ha proposto un contributo a carico delle pensioni più alte, calcolato sulla differenza tra quanto percepito e quanto effettivamente versato, ed è tornato su questo argomento anche dopo la nomina a presidente Inps. “Le proposte su un’equa redistribuzione delle prestazioni possono essere interessanti – spiega D’Aloia –, attenzione però: ogni eventuale riforma andrebbe fatta in modo graduale e proporzionale agli importi. In secondo luogo i risparmi dovrebbero essere devoluti non alla spesa pubblica generale bensì a quella pensionistica, per incrementare la stabilità del sistema e per trovare soluzioni per chi andrà in pensione tra 20 anni, presumibilmente in condizioni molto più difficili rispetto a quelle dei pensionati attuali”.

Il tema della responsabilità intergenerazionale non riguarda esclusivamente le pensioni, ma è citato sempre più spesso nei documenti normativi, anche europei: a partire dall’articolo 20a della Costituzione tedesca, che dal 1994 espressamente parla di “responsabilità dello stato verso le generazioni future”. Ma si può anche citare il nostro testo unico sull’acqua (D. Lgs. 152 del 2006) che all’art. 144 stabilisce che “Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale”. “Una democrazia, per sua stessa natura, tende a concentrarsi sui problemi attuali – conclude il costituzionalista –. Si tratta in un certo senso di una cosa normale: quello che non va bene è invece trasformare il presente in un’ossessione, dimenticando che quello che decidiamo oggi, dall’ambiente alla tutela delle risorse, ha conseguenze irreversibili anche per chi verrà dopo”. 

Daniele Mont D’Arpizio

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