UNIVERSITÀ E SCUOLA

Un pezzo di Padova in Africa

Quando lo scorso 17 marzo Sergio Mattarella si è recato in Camerun, primo presidente della Repubblica Italiana in 70 anni, ad attenderlo oltre al presidente Paul Biya e alle autorità c’erano anche il rettore Rosario Rizzuto e il prorettore alla didattica Daniela Mapelli. La ragione è semplice: da tempo infatti l’ateneo patavino porta avanti una stretta collaborazione con il Paese africano (quasi 24 milioni di abitanti per una superficie più o meno pari a quella della Spagna). E i risultati si iniziano a vedere, a partire dai 76 ingegneri appena laureati a cui il nostro presidente ha consegnato personalmente l’attestato durante una cerimonia. 

Per capire facciamo un passo indietro. È il 2009 quando nasce l’idea di portare in Africa saperi e competenze dell’università di Padova: ne parlano insieme Esoh Elamé, italo-camerunense docente a Padova di mediazione culturale, Carmelo Maiorana, direttore del dipartimento di costruzioni e trasporti (confluito poi nel dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale - DICEA), e l’allora ambasciatore italiano a Yaoundé Antonio Bellavia. “Il ministro dei lavori pubblici ci fece sapere che il paese aveva bisogno di ingegneri – racconta oggi Maiorana al Bo – quindi ci propose di aiutarlo a trasformare l’esistente Ecole Nationale Supérieure des Travaux Publics (ENSTP), che fino ad allora forniva una formazione essenzialmente tecnica, in una vera e propria università sul modello italiano”. 

Così l’anno dopo partono due percorsi universitari 3+2, rispettivamente in ingegneria civile e ambientale, ai quali presto si aggiungono cinque master di specializzazione su temi che vanno dalla bioedilizia al tema, fondamentale, della gestione delle risorse idriche. I nuovi corsi di laurea sono la fotocopia di quelli padovani: gli stessi i programmi, con molti professori che fanno la spola tra Padova Yaoundé. “All’inizio l’adesione dei docenti era un po’ bassa, ma dopo  le prime esperienze sono cresciute sempre più – continua Maiorana –. Oggi, tra i vari turni, durante l’anno accademico in Camerun abbiamo sempre una quarantina di padovani, che di solito tengono corsi intensivi di uno o al massimo due mesi”. 

“Insegnare in Camerun è un’esperienza particolare – spiega Beatrice Pomaro, assegnista di ricerca che nel paese africano insegna scienza delle costruzioni –, i tempi sono necessariamente intensi e molto concentrati e si conduce una vita comune con studenti e colleghi”. E gli studenti? “Molto entusiasti, si vede subito la loro sete di sapere. Spesso lavorano in gruppi, dentro i quali i più brillanti e preparati si preoccupano anche di aiutare i loro compagni. Un modello che forse potrebbero usare anche i nostri ragazzi”.

All’ENSTP gli ingegneri italiani curano tutto: dalla selezione dei partecipanti ai programmi dei singoli insegnamenti. E i risultati devono essere apprezzati, se ai test di ingresso partecipano ogni anno oltre 2.000 studenti, molti dei quali provenienti da paesi vicini come Ghana, Gabon e Ciad. Entro ottobre ai 76 di cui si è detto dovrebbero aggiungersi altri 300 formati nell’ambito dei master professionalizzanti, mentre nei prossimi anni si conta di portare l’Ecole Nationale fino a 4-5.000 iscritti, il triplo di quelli attuali. Un riconoscimento importante per l’università italiana in un posto che, come l’Africa equatoriale, ha sempre visto una forte influenza delle ex potenze coloniali, in particolare la Francia. E non siamo lì ‘per beneficienza’: “Il governo camerunense paga completamente i costi della collaborazione, a parte alcuni corsi coperti con fondi europei – spiega Bernhard Schrefler, docente fin dall’inizio molto impegnato nell’esperienza africana –; si tratta di un aspetto molto importante, perché significa che viene riconosciuto il valore delle competenze che stiamo portando in questo Paese”. 

Intanto la collaborazione cresce e si sviluppa: proprio in occasione della visita di stato sono stati siglati cinque accordi tra Italia e Camerun, due dei quali riguardano anche Padova. Il primo prevede l’arrivo anche del corso di laurea magistrale quinquennale in ingegneria edile-architettura, mentre l’altro apre la strada al futuro riconoscimento del doppio titolo italiano e camerunense. Un percorso non facile ma che potrebbe costituire un valore aggiunto per gli studenti: “Non si tratta di far venire in Italia gli ingegneri formati in Africa, ma di fornire loro un titolo che abbia valore internazionale – continua Schrefler –. Già adesso diverse imprese italiane che operano nella regione sono fortemente interessate alle persone che stiamo formando”. Altri accordi prevedono inoltre la collaborazione da parte degli ingegneri padovani al piano urbanistico della capitale, in particolare alla bonifica delle attuali bidonville e al varo di un nuovo piano di edilizia popolare, e la creazione di corsi di dottorato per formare direttamente in loco i nuovi docenti.

La sfida è quella di contribuire in maniera sempre più determinante alla formazione della classe dirigente locale: un ambito in cui altri paesi europei investono da anni risorse ingenti. E i motivi non mancano: contribuire allo sviluppo del continente africano significa ad esempio godere dei benefici della sua crescita economica (negli ultimi anni seconda solo a quella dell’Asia), ma anche stabilizzare una regione fondamentale nell’assetto geopolitico del continente – in cui si incontrano e coesistono Islam e Cristianesimo, solo per dirne una – e in prospettiva allentare la pressione migratoria verso l’Europa. 

Già oggi sono numerose le imprese italiane che operano nell’area, ad esempio nella nuova ferrovia che dovrebbe unire Yaoundé alla capitale del Ciad N'Djamena: “L’importante è unire le forze tra imprese, università e istituzioni, e per una volta noi italiani stiamo facendo sistema", conclude Maiorana.

Forse è anche per questo che l’iniziativa ha ricevuto il plauso del presidente Mattarella, che durante il suo intervento in occasione della consegna dei diplomi ha indicato nell’accordo tra ateneo patavino e il governo camerunense un modello di una vera e propria  ‘alleanza per la cultura’ tra i due paesi, auspicando che questo venga “presto seguito da altre università e Istituti di ricerca delle due parti”.

Daniele Mont D’Arpizio

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