CULTURA

Il potere della macchina

Il lavoro è il tema centrale della biennale di fotografia aperta fino al 1° novembre, in numerose sedi del centro storico di Bologna. “Produrre”, come spiega il direttore artistico di Foto/Industria François Hébel, è “una parola che accomuna tutto il mondo del lavoro, che si applica tanto alla sfera materiale che a quella immateriale”. 

Per quanto riguarda la produzione è interessante il paragone  tra O. Winston Link e Luca Campigotto. I due artisti presentano diversi punti in comune: entrambi prediligono i paesaggi notturni e i soggetti delle loro foto sono per lo più mezzi di trasporto e i luoghi correlati: per Link locomotive e stazioni ferroviarie, per Campigotto navi e porti. I fotografi, tuttavia, mostrano due aspetti opposti eppure coesistenti della produzione: la velocità e la staticità. 

L’ingegnere e fotografo americano O. Winston Link è conosciuto in tutto il mondo per le sue foto in bianco e nero in notturno, tecnica in cui fu pioniere, e per la sua passione per le locomotive a vapore: dal connubio di questi elementi nasce la collezione in mostra in Via Farini 15. Dal 1955 al 1959 Link ha fotografato, per hobby, le ultime locomotive a vapore sulla Norfolk & Western Railway, che nel maggio del ’55 aveva annunciato la sua conversione al diesel. Il lavoro di Link, dunque, divenne il documento della fine dell’era del vapore; la dinamicità del treno è colta nel momento della corsa. La spinta innovativa in quel momento di passaggio è ben descritta dal binomio velocità della locomotiva-staticità del paesaggio, che veniva scelto con cura e organizzato meticolosamente. La prima foto della mostra, Hotshot Eastbound, racchiude tutte queste caratteristiche: sullo sfondo la locomotiva a vapore in movimento ma limpidamente visibile, in primo piano il drive-in, in proiezione un aereo in volo che, conoscendo Link, non sembra una casualità e infatti esso rappresenta la velocità ad un grado più elevato, l’esempio massimo di innovazione nel campo dei trasporti. Tutta la scena è un inno alla velocità, alla crescita e allo sviluppo. I dettagli sono nitidi, plastici, risultano perfettamente scolpiti dai sofisticati – quasi cinematografici -  sistemi di illuminazione utilizzati dall’autore. “Non posso governare il sole, che non è mai al posto giusto, e ancor meno posso spostare i binari, ho dovuto quindi costruire io stesso il paesaggio e scolpirlo attraverso la luce”». La N&W non arrivò a sponsorizzare il lavoro di Link ma - fiutando l’impatto commerciale che avrebbe avuto il progetto – fornì all’artista accessi ad aree riservate e l’energia per i suoi sistemi di illuminazione. La meticolosità con cui l’autore allestiva la scena, che riscontriamo, ad esempio, nella foto descritta in precedenza ma anche in Hawksbill Creek Swimming Hole, forma una ambiente talmente perfetto da sembrare surreale, e il notturno restituisce alle foto un’essenza quasi onirica. Il culmine è senz’altro Ghost Train, foto in cui la locomotiva risulta chiaramente visibile in tutti i suoi dettagli, ma trasparente; si discute ancora su come abbia fatto Link a regalare questo effetto al veicolo mentre per tutto il resto la foto risulta nitida (in molti ritengono che si sia trattato di un errore del fotografo in camera oscura). 

Onirica è anche l’opera di Luca Campigotto, fotografo italiano nato a Venezia nel 1962. Gli scatti sono prevalentemente notturni, la lunga esposizione elimina il senso del tempo, i dettagli sono enormi: Foto/Industria titola la sua esposizione La poesia dei giganti. I suoi ritratti, infatti, specialmente per quanto riguarda le navi - come nella foto Arsenale di Venezia - o i porti, su tutti Genova e Marghera, sono attenti al dettaglio che diviene fulcro della foto: i cavi, la prua di una nave, i frangiflutti si ergono come giganti moderni che vegliano immoti sul porto dormiente. In ultima battuta, la stampa su grande formato e il meticoloso lavoro di post-produzione trasmettono, insieme agli elementi sopracitati, un “senso evocativo più che reale” come spiega Hébel. Campigotto, al contrario di Link, per illuminare la scena utilizza solamente le luci artificiali presenti sul posto che, grazie a una lunga esposizione, rendono l’immagine quasi irreale. Il fotografo - al contrario del collega americano - preferisce lavorare in solitudine, ama le scenografie abbandonate o i luoghi non ancora scoperti. Egli concentra la sua attenzione su spazi industriali e in questa collezione di scatti, in Via De’ Carbonesi 11, predilige i trasporti per il loro valore di canali di comunicazione indispensabili per il nuovo mondo globalizzato. Il fotografo ama definirsi “suggeritore”: è l’osservatore a proiettare nello spazio scenografico ciò che ritiene sia la propria realtà. 

Martina De Camillis

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012