SOCIETÀ

Poveri d'Italia

Giovani, disoccupati, precari, stranieri, spesso con tre o più figli minori a carico. Sono questi i nuovi poveri di oggi. Secondo l’Istituto nazionale di Statistica in Italia nel 2016 a vivere in condizione di povertà assoluta (cioè senza riuscire a spendere ogni mese una cifra pari a quella che l’Istat calcola come necessaria per l’acquisto di alcuni beni e servizi essenziali per una qualità della vita minimamente accettabile), è stato più di un milione e mezzo di famiglie, pari a circa cinque milioni di persone. A vivere sotto la soglia minima di povertà sono in particolare le popolazioni delle regioni del centro e sud Italia e sempre più minori, circa 1 milione e 300.000 soggetti non ancora maggiorenni.  Nel nostro Paese dove imposte, tasse e tributi pesano circa il 30% (in Austria il carico è del 27,4%, in Germania del 23% e in Spagna del 22%) e dove la spesa sociale è tra le più basse d’Europa, il rischio di povertà e di esclusione sociale negli ultimi anni è cresciuto moltissimo andando a coinvolgere negli ultimi dieci anni - secondi gli ultimi dati pubblicati dalla Cgia di Mestre - 18 milioni di persone (nel 2006 erano 15 milioni). La crisi economica ha colpito in generale tutti i ceti sociali anche se a pagare il prezzo più alto è stato il ceto medio produttivo, il cosiddetto ‘popolo delle partite Iva’ che, una volta perso il lavoro, non beneficiando di alcun ammortizzatore sociale, deve rimettersi alla ricerca di un nuovo lavoro, non facile da trovare negli ultimi anni in Italia.

La povertà nel nostro Paese procede anche di pari passo anche con separazioni e divorzi. A fronte di 194.377 matrimoni celebrati in Italia nel 2015 (circa 4.600 in più rispetto al 2014), con l'introduzione del "divorzio breve" è cresciuto anche il numero dei divorzi che nel 2016 sono stati il 57% in più rispetto al 2014 e quello delle separazioni, pari nello stesso anno al 2,7% in più rispetto al 2014. Delle coppie in via di divisione, l’ 89% ha uno o più figli. Un dato che assume nuove proporzioni se messo in relazione all’entrata in vigore della legge 54 del 2006 che si esprime in merito all’affido congiunto. Dieci anni fa, infatti, nella grande maggioranza delle separazioni e dei divorzi i figli minorenni venivano affidati alla madre: nel 2005 questo si verificava nell’80,7% delle separazioni e nell’82,7% dei divorzi. A partire dal 2006, con l’entrata in vigore della legge in questione, la quota di affidamenti concessi alla madre si è fortemente ridotta a vantaggio dell’affido condiviso. Già nel 2007, infatti, le separazioni in cui i figli sono stati affidati insieme a madre e padre sono state il 72% mentre nel 2015 i figli affidati esclusivamente alla madre sono stati solo il 9% del totale.

Questa legge, che ha introdotto l’affido condiviso come modalità principale di gestione dei figli, prevede che entrambi i genitori separati o divorziati conservino la potestà genitoriale e provvedano insieme al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. Ma se con questa legge è cambiata drasticamente la tipologia di affidamento, di poco si sono modificati altri aspetti ‘collaterali’. Non è diminuito infatti il numero di separazioni in cui la casa coniugale viene assegnata alle mogli (dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015) e lo stesso succede per l’assegno di mantenimento corrisposto dal padre che, in dieci anni, continua a essere elargito da quest’ultimo nel 94% dei casi.

Anche se spesso le prime a pagare le conseguenze economiche e morali di una divisione sono le donne, è proprio a seguito di divorzi e separazioni che molti padri iniziano a vivere in condizioni di indigenza. Succede quando da un momento all’altro si trovano a dover pagare un nuovo alloggio per sé (e contemporaneamente parte del mutuo o dell’affitto dell’abitazione in cui vivono moglie e figli), quando a questo si aggiungono l’assegno di mantenimento, i contributi straordinari per visite mediche, scuola o sport; quando ci sono le spese legali da affrontare e magari anche il lavoro non va bene. È così che alcuni padri separati si sono trasformati nei nuovi poveri di oggi.

In merito, ha raccolto voci e numeri il Rapporto Caritas Italiana 2014 su povertà e esclusione sociale in Italia. Secondo la relazione, la metà dei senza fissa dimora oggi finisce in strada per tre ragioni principali: la separazione dal coniuge o dai figli, la perdita del lavoro, le cattive condizioni di salute. I dati raccontano che, quando una coppia si divide, aumentano soprattutto per gli uomini le situazioni di precarietà abitativa e cresce parallelamente il numero di persone che vivono in coabitazione con familiari e amici (dal 4,8% al 19%), che ricorrono a strutture di accoglienza o dormitori (dall’1,5% al 18,3%), che vivono in alloggi impropri come auto, camper o altro (dallo 0,7% all’5,2%). Più della metà degli intervistati, il 66,1%, dichiara di non essere in grado di far fronte all’acquisto di beni di prima necessità e anche per questo si rivolge più frequentemente ai servizi socio‐assistenziali del territorio (centri di distribuzione di beni primari, mense e magazzini solidali). Alle ‘questioni pratiche’ si aggiunge anche una crescita dei disturbi psicosomatici (che gli uomini faticano a curare non solo per ragioni economiche) e il peggioramento del rapporto con i figli, denunciato dal 58% dei padri separati intervistati.

Non va molto meglio in Europa dove, in diverse zone, la situazione è simile all’Italia. In Paesi come Romania, Lettonia, Spagna, Grecia, e altri ancora, un quinto della popolazione o più è considerato indigente e, come da noi, anche nei Paesi dell’Unione alcuni gruppi sociali sono più esposti al rischio di povertà: le donne, i disoccupati, i single e i pensionati. Stessa tendenza anche per quanto riguarda le famiglie. Quelle con uno o più figli a carico o monoparentali, registrano il tasso di rischio di povertà più elevato.

Francesca Forzan

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012