SOCIETÀ

Proclamare l’incertezza

Circa 430 piazze d’Italia (tra cui Padova) e più di 4.000 volontari appartenenti alla protezione civile, a gruppi comunali e ad associazioni locali. Sono i numeri della quinta edizione della campagna di comunicazione nazionale Io non rischio che avrà luogo il 17 e il 18 ottobre per sensibilizzare i cittadini sul rischio sismico, di alluvione e di maremoto e sulle misure da adottare prima, durante e dopo una fase di emergenza. “Un cittadino informato – osserva Fabrizio Curcio, capo del dipartimento della Protezione civile – è indubbiamente un cittadino più esigente nei confronti delle istituzioni e la consapevolezza dei rischi, acquisita anche grazie a questa campagna, spingerà a chiedere che le amministrazioni locali realizzino piani di emergenza adeguati al territorio in cui vive”. Comunicare il rischio significa dunque rendere gli individui più consapevoli, preparati e partecipativi nella gestione di potenziali situazioni di crisi. Non sempre, tuttavia, si attribuisce alla comunicazione del rischio l’importanza e le risorse che merita, sebbene in alcuni casi possa contribuire a salvare vite umane (o a causare vittime a seconda di come viene gestita).

Gli esempi non mancano. Da maggio a luglio, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, in Corea del Sud si sono contati in tutto 185 casi di sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus (Mers-Cov) di cui 36 morti. Un evento tragico, certo, tuttavia con un bilancio sociale ed economico sproporzionato, osserva Nature: migliaia di scuole chiuse; eventi pubblici cancellati; turismo in netto calo, con una perdita stimata di 10 miliardi di dollari. Le autorità, evidentemente, non sono riuscite a convincere il pubblico e i media di avere la situazione sotto controllo. 

Si pensi poi alla recente epidemia di Ebola e ai toni troppe volte sensazionalistici con cui la notizia è apparsa sui media, nazionali e internazionali, e ha creato allarmismo. In America una manciata di casi ha spinto parecchi politici ad adottare contromisure non necessarie, come la quarantena forzata degli operatori sanitari che tornavano dall’Africa. Nel nostro continente, per favorire una migliore comunicazione del rischio durante le malattie infettive e fornire una corretta informazione al pubblico, già nel 2012 la Commissione europea ha finanziato il progetto triennaleTell me (Transparent communication in epidemics: learning lessons from experience, delivering effective messages, providing evidence), il cui gruppo di ricerca ha dato recentemente il proprio contributo anche durante l’epidemia di Ebola.

Come non ricordare poi la condanna in primo grado a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo di Bernardo De Bernardinis, ex vicecapo del settore tecnico del dipartimento di protezione civile, e di sei esperti della Commissione nazionale dei grandi rischi in seguito al terremoto del 2009 a L’Aquila. Una condanna che in appello, pochi mesi fa, si è tramutata in due anni di carcere per De Bernardinis e nell’assoluzione degli altri imputati. L’accusa era di aver fornito alla popolazione informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie. In sostanza di non aver informato correttamente la cittadinanza sul rischio sismico, ma anzi di aver tranquillizzato la popolazione escludendo che lo sciame sismico di quei giorni potesse preludere a un terremoto distruttivo. Affermazioni che, il 6 aprile 2009, costarono la vita a più di 300 persone durante una scossa di magnitudo 6,3. “Secondo la sismologia – scriveva già qualche tempo fa Giancarlo Sturloni, docente di comunicazione del rischio alla Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste – la probabilità che uno sciame sismico preluda a un forte terremoto è bassa, ma non trascurabile. Tuttavia, nel tentativo di lenire i timori della popolazione, l’incertezza sull’evoluzione dello sciame… si trasformò in un’ottimistica certezza… e la bassa probabilità in un rischio nullo”. E molti, fidandosi degli esperti, abbandonarono la precedente abitudine di dormire all’aperto che avrebbe potuto salvare loro la vita.

“L’obiettivo della comunicazione del rischio – spiega Giampietro Vecchiato esperto di comunicazione del rischio e docente all’università di Padova – non è quello di azzerare i rischi, ma di formare un pubblico vigile, che sappia accettare l’ineliminabile incertezza insita nel concetto di rischio stesso e che sia in grado di assumere i corretti comportamenti per ridurne la probabilità e l’impatto”. In questo modo si promuove una corretta comprensione del rischio, un atteggiamento dialogico e partecipativo e un cambiamento comportamentale, oltre a generare fiducia e credibilità nei confronti delle istituzioni interessate.     

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