CULTURA

I "profeti" della pittura

Li chiamarono “profeti”, Nabis secondo la trascrizione ebraica, e furono i portatori di un rinnovamento artistico epocale. Il gruppo di giovani artisti diede vita a un movimento che irruppe nel panorama pittorico nel 1889 e che si prolungò per una decina d’anni, rovesciando il tavolo dei concetti fondamentali della pittura così come aveva avuto significato fino a quel momento. La correlazione diretta fra pittura e natura venne scardinata, annullato il concetto di verosimiglianza. La stagione dei Nabis decretò la nascita dell’arte moderna.

La mostra I Nabis Gauguin e la pittura italiana d’avanguardia, a Rovigo fino a gennaio prossimo, rivela proprio il racconto di quel momento dirompente; una storia e insieme un viaggio nella geografia europea, attraverso le opere di Paul Sérusier, Charles Filiger, Paul Ranson, Jan Verkade, Georges Lacombe, Cuno Amiet, Maurice Denis. Ma anche Gino Rossi, Oscar Ghiglia, Mario Cavaglieri, Felice Casorati, Arturo Martini. Partendo da Paul Gauguin.

A sinistra: Émile Bernard, Tre teste di donne bretoni con cuffia vedovile, 1888; a destra: Paul Gauguin, Bretagna, 1889

Voglio un’arte semplice, molto semplice. Le parole di Gauguin svelano il desiderio a lungo rincorso attraverso sentieri che lo condussero a incrociare l’impressionismo e su strade che da Parigi non temette a percorrere alla volta della Danimarca, dell’Inghilterra, di Panama, della Martinica, fino a ritirarsi per un breve periodo, artista viaggiatore quarantenne, nel piccolo, quieto, periferico villaggio bretone di Pont-Aven. La sua svolta artistica la cercò e la trovò proprio lì, immerso nella natura, nella quotidianità della vita contadina, nel primitivo scandire delle ore dettato da giorno e notte, stelle e pioggia, erba mossa dal vento, acque addomesticate, voci di donne in preghiera, sciabordio di pescherecci e passi grevi di bestiame al pascolo. Proprio lì conobbe Emile Bernard, che aveva esattamente la  metà dei suoi anni e che nell’immediatezza e nella freschezza del suo gesto artistico aveva compreso tutte le istanze che il maestro andava cercando. Uno stile assolutamente nuovo, in straordinaria rottura rispetto alla tradizione. Era il 1888 e con Gauguin iniziava una rivoluzione artistica di piccoli gesti precisi e sconvolgenti che annullavano la prospettiva, appiattivano i soggetti fino a ridurli a superfici bidimensionali di colore, contornate da bordi scuri in una dimensione completamente antinaturalistica. I personaggi rimasero d’improvviso muti, abbozzati, in un mondo senza dettagli né proporzioni perfette: perché non ce ne fu più bisogno, perché a contare furono da quel momento le sensazioni suscitate. E così l’artista dipinge sentimenti attraverso macchie violente di colore, lenzuola bianche mosse dal vento, cieli gialli di sole, colli a righe verdi e viola di campi e fatica, giochi a bocce di polvere chiara e uomini scuri senza volto ma col cappello, e un cane. Gli artisti giovani e inquieti che nel segno di Gauguin avrebbero rifondato la pittura stessa accorsero nella minuscola cittadina Bretone. “Dopo Pont-Aven nulla fu più lo stesso” commenta il curatore della mostra Giandomenico Romanelli.

A sinistra: Cuno Amiet, Il bucato, 1905 circa; a destra: Marius Borgeaud, I giocatori di bocce, 1918

Tutto cambiò, il mondo artistico ne uscì rovesciato e non solo in Francia, a Parigi, ma da lì in tutta Europa, e in Italia. La nostra Pont-Aven la trovammo nella laguna veneziana, a Burano, dove Gino Rossi rilesse il paesaggio arrotolandolo nell’azzurro nel rosa e nel verde e segnando di nero i lineamenti duri de “Il muto”, col capo reclinato nei marroni e neri accostati di un silenzio assordante e rassegnato. Mentre in Toscana Oscar Ghiglia ritraeva alla luce artificiale il riposo della moglie, il corpo immobilizzato nei toni caldi della luce artificiale e fissato in una dimensione intima ed emotiva, corpo svelato ma senza lineamenti. “Nessuno dipingeva così in Italia in quel momento” sottolinea lo studioso Stefano Zampieri, autore in catalogo; “Ghiglia aveva conosciuto la pittura di Gauguin grazie alla frequentazione della casa di Henri des Pruraux e negli anni fra il 1904 e il 1906 ne aveva interiorizzato la poetica producendo tele straordinarie che però mancavano della fioritura cromatica tipica dei francesi. La svolta Nabis avvenne grazie alla mediazione del critico Ugo Ojetti e del collezionista e pittore Gustavo Sforni, in contatto con la pittura internazionale”. Osserva Zampieri: “È così che Ghiglia arriva a creare opere come  La camicia bianca. In questa opera Isa è colta di profilo: la chioma scivola e risalta sul bianco splendente della camicia, dei panni, del catino smaltato. Un capolavoro di bellezza, di sintesi e di sentimenti, dove il risalto cupo dei capelli, unica macchia di colore del dipinto, è figurato in pieno al gusto Nabis”.

A sinistra: Oscar Ghiglia, La camicia bianca o Donna che si pettina, 1909; a destra: Felice Casorati, Bambina che gioca su tappeto rosso, 1912

L’avanguardia italiana si nutrì dell’esperienza Nabis, ma seguì sentieri diversificati e assolutamente personali: dal sintetismo borghese di Mario Cavaglieri alla rigorosa oggettività di Cagnaccio di San Pietro, all’intensa riflessione critica di Felice Casorati. Ciò che rimase fu la carica innovatrice, la spinta nata da quello che, secondo le parole di Romanelli, fu “un passaggio ineludibile, nel dominio della pittura, verso la libertà e la poesia”.

Chiara Mezzalira

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