CULTURA

Il filo (ritrovato) di Ezio Bruno Caraceni

"Difficile è teorizzare su questi quadri, bisogna sentirli, viverli dopo aver consumato con la sofferenza ogni umana figura e ricordo". 

Un pittore, uno sperimentatore, un artista tumultuoso e appassionato, in continua ricerca. L’avventura umana e artistica di Ezio Bruno Caraceni (Chioggia, 1927-1986) è seducente eppure poco conosciuta, per troppo tempo rimasta ai margini. Il suo riscatto e il nostro desiderio di (ri)scoprire una intensa storia d'arte e di vita trovano ora la giusta occasione nella retrospettiva allestita ai Musei Civici Eremitani di Padova: un’esposizione ragionata e ricca, curata da Massimiliano Sabbion ed Enrica Feltracco. Esplorando l’archivio, gestito dagli eredi dell’artista, Sabbion si convince della necessità di ‘portare fuori’ le opere, approfondire e liberare il racconto per favorire l’incontro con un pubblico più ampio (a distanza di molti anni dalla mostra curata da Guido Bartorelli). L’attento lavoro di studio e selezione si traduce in una ‘narrazione’ sorprendente, una storia che si sviluppa, senza forzature, tra le sale del museo padovano.

Varcando la soglia degli spazi dedicati a Ezio Bruno Caraceni - Nel labirinto dell’informale si ha la sensazione di essere invitati a entrare in uno spazio familiare che, al tempo stesso, accoglie una storia fuori dall’ordinario e dagli esiti imprevedibili. È una esperienza che non ti aspetti, in cui immergersi senza esitazioni: il percorso, puntellato di opere-racconto, indaga mutamenti, svolte, atti di coraggio e libertà espressiva, artistica ed esistenziale, esaltando il talento creativo - che abbraccia diverse discipline, dalla pittura alla musica, passando per l’amore per il cinema e la fotografia - e la vicenda umana di un artista capace di tracciare una via personale, mai scontata. Scrive Enrica Feltracco: “Nessuno può chiudere le porte al mondo esteriore in cui si è immersi, ma pare davvero che Caraceni ci sia riuscito, inseguendo visioni spettacolari, ora soavi ora urticanti, di una interiorità che è tutt'altro che intimistica, mai schiava di stili”.

Sono 103 le opere esposte, scelte tra le circa duemila valutate, provenienti dall'Archivio Bruno Caraceni, a cui si aggiungono vecchie fotografie, lettere, libri, pagine di giornali d’epoca, manifesti e barattoli di colore. La produzione si sviluppa in quattro periodi, in stretto dialogo tra loro: gli anni della formazione, dalla fine degli anni Quaranta al 1956, il periodo delle plastiche, create dal 1957 al 1961, e sperimentate prima di tutti, gli anni Sessanta dedicati alla ricerca sui fili, che rappresenta un punto di rottura tra chiodi e fili di ferro e determina un salto dell'artista "oltre l'informale", infine il viaggio di esplorazione e scoperta tra labirinti e mappe, dove perdersi e ritrovarsi, presentati alla Galleria del Cavallino nel 1968, anno in cui Caraceni viene invitato a Tokyo e, ancora, alla Biennale di Venezia, dopo le partecipazioni degli anni Cinquanta.

L’arte libera esce dai percorsi già tracciati, rompendo gli schemi, ma al tempo stesso è attraversata da una costante, “un filo disegnato che si snoda come un gesto continuo - spiega Massimiliano Sabbion nel suo testo critico -. Il filo è il suo cordone ombelicale: dalle reti dei pescatori di Chioggia, dai lavori delle donne tra le mura domestiche con il tombolo, agli itinerari invisibili degli aerei osservati dall'alto del campanile della sua città dal quale estrapola l'essenza di mappe in una labirintica visione, dove si esce grazie al soccorso di un filo d'Arianna". 

Il legame con la laguna e il mare è forte, determinante e, anche nell’avventura della vita, possiamo rintracciare lo stesso filo che tiene tutto insieme. Sabbion racconta a Il Bo Live: “È stato ritrovato uno scritto in cui Caraceni dice: i primi alberi che ho visto sono quelli delle navi”. A Chioggia nasce nel 1927 e muore improvvisamente, nel 1986, non ancora sessantenne: qui inizia e finisce, dopo anni vissuti altrove, a Roma. In giovinezza un evento segna il suo percorso e ne definisce la personalità. È il 13 ottobre 1944 e il vaporetto, su cui è salito per recarsi a scuola, viene bombardato. Il giovane Caraceni viene ricoverato all'Ospedale del Lido, dove resta per due lunghi mesi. Rifiuta sia la pensione di invalidità che l'intervento per estrarre le schegge, si riprende e la sua vita riparte, nulla si arresta. Già negli anni della formazione inizia a esporre le sue prime opere, quelle che definisce scherzi. Nel 1950, allievo di Arturo Martini, si diploma in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. L’anno successivo si trasferisce a Roma, lavora per il quotidiano Il Popolo, come impaginatore grafico e correttore di bozze, e conosce la giornalista Angela Maltese, che sposa nel 1952. La prima personale romana è del 1954, nel 1956, nel 1958 e alla fine dei Sessanta arrivano gli inviti della Biennale Arte di Venezia. 

“La barba di Caraceni ferma le auto, scrivevano i giornali dell’epoca”, racconta divertito Massimiliano Sabbion, ripercorrendo le tappe della cosiddetta rivoluzione di via Margutta, la famosa strada romana degli atelier, luogo di ritrovo a partire dal Seicento per pittori, scultori e intellettuali, resa nota nel 1953 dal film Vacanze romane

Il 20 gennaio 1955, via Margutta, Roma. Un nutrito gruppo di artisti, ‘armato’ di cavalletti, scende in strada e inizia a dipingere e scolpire. Si oppongono all’aumento degli affitti e al traffico che disturba la quiete, pianificano, si organizzano, preparano manifesti e striscioni di “divieto permanente di transito” e lì lasciano le loro firme: chiedono che il carattere culturale e romantico della storica strada venga preservato. In prima linea c’è Caraceni, il suo studio si trova al civico 48. Anche lui contribuisce a scrivere questa vivace pagina di storia artistica collettiva, di partecipazione sociale. Nella sala della mostra dedicata a via Margutta lo ritroviamo, barbuto, in ingrandimenti di foto d’epoca, tra gli amici e colleghi artisti: d’un tratto anche noi siamo lì e idealmente respiriamo la stessa aria frizzante e ascoltiamo la voce di chi ha tracciato una via e per questo, a settant’anni da quella protesta pacifica, merita di essere riscoperto.


Ezio Bruno Caraceni - Nel labirinto dell’informale - dagli anni ‘50 ai ‘70

a cura di Enrica Feltracco e Massimiliano Sabbion 

Musei Civici Eremitani, fino al 30 marzo 2025

ingresso incluso nel biglietto del museo

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