SOCIETÀ

Le sabbie immobili della disuguaglianza / 1

Se l’impatto immediato dell’aumento della disuguaglianza economica negli Stati Uniti è già ampiamente evidente, in particolare sui lavoratori che vedono rapidamente erodersi le fondamenta della propria qualità di vita, meno comprese sono le conseguenze di lungo periodo, l’effetto che l’attuale divaricazione tra i livelli di reddito dei più ricchi e di tutti gli altri avrà sulle nuove leve di questo Paese. A indagare i meccanismi di trasmissione inter-generazionale di questo fenomeno ci si è messo di recente uno dei nomi più noti della scienza politica americana: è uscito infatti a marzo il nuovo libro di Robert Putnam, pluri-premiato professore di Harvard e autore di due precedenti titoli di grande successo, Making Democracy Work, che tratta della società civile in Italia, e Bowling Alone, in cui si esplorano le ragioni della moderna atomizzazione di quella americana. 

Intitolato Our Kids: The American Dream in Crisis,il più recente studio di Putnam, che combina l’approccio etnografico a una montagna di dati, apre con un ritratto di Port Clinton, una piccola cittadina dell’Ohio sulle sponde del lago Erie, nel 1959, anno in cui Putnam stesso si diplomò dalla scuola superiore pubblica locale. Allora, scrive l’autore, “i nostri genitori, quasi esclusivamente donne casalinghe e padri lavoratori, non erano particolarmente istruiti […] ma quasi tutti avevano beneficiato della prosperità condivisa del secondo dopoguerra e solo una piccola minoranza delle nostre famiglie viveva in povertà”. In questo contesto relativamente egalitario, “i bambini degli operai e dei professionisti abitavano in case simili e interagivano gli uni con gli altri senza problemi a scuola, nei propri quartieri, alle riunioni dei boy scout e in chiesa”. 

Partendo da questo sfondo idilliaco, che, come ha scritto Jason DeParle sul New York Times, pecca decisamente di un eccesso di nostalgia, Putnam lancia un’esplorazione dell’America contemporanea, in cui, dalla California alla Pennsylvania passando nuovamente per Port Clinton, i bambini privilegiati vivono in una realtà completamente separata rispetto a quelli le cui famiglie hanno mezzi finanziari limitati, e possono contare quindi su una quantità di risorse, monetarie, organizzative, educative ed emotive, talmente superiore da incrementare continuamente il proprio distacco sui secondi. È così dunque che la disuguaglianza di oggi getta i semi di quella, esponenzialmente più profonda, di domani, mettendo a rischio non solo l’equa distribuzione dei redditi e delle ricchezze, principio che, nota giustamente Putnam, agli americani interessa poco, ma anche le pari opportunità e la mobilità sociale, che invece sta loro a cuore giacché rappresenta l’appoggio per tutto il costrutto del “sogno americano”.  

Nei suoi peregrinaggi per l’America, Putnam visita, ad esempio, Bend in Oregon, che ha saputo trasformarsi negli anni settanta da centro dell’industria del legno in declino a ricercata località di villeggiatura, famosa per la bellezza naturale e capace di attrarre residenti sempre più benestanti e sofisticati. Ma che, per fare posto a costoro, ha marginalizzato i propri poveri in ghetti periferici e cadenti. A Bend incontriamo Andrew, figlio tipico della perfetta famiglia americana, che dai genitori riceve ogni cura e attenzione, e Kayla, che dall’altra parte della città è invece il prodotto di una situazione familiare disastrata, in cui la prole di diverse relazioni, per di più occasionali, di un ensemble di adulti in continuo cambiamento convive faticosamente sotto lo stesso tetto, interamente dipendenti dai sussidi statali e sempre a un passo dal collasso totale. Stessa storia ad Atlanta in Georgia, dove l’appartenenza di classe conta sempre più anche rispetto a quella razziale, e quindi i neri ricchi hanno più a che fare con i bianchi ricchi che con i neri poveri.  Qui, tra i prati tosati di fresco e le villette in mattone di un sobborgo della classe medio-alta a sud della città, Simone, la determinata mamma di Desmond, spiega il suo stile educativo: “Ho sempre voluto che i miei figli fossero davanti agli altri […] Non appena Desmond è diventato abbastanza grande, praticava uno sport al giorno […] Prendeva lezioni di piano […] E sono stata sempre attenta a quello che davo loro da mangiare, mai la carne di McDonald’s, mai le bevande in lattina”. Dall’altra parte di Atlanta, invece, in un decrepito centro commerciale, Elijah, lasciato dai genitori a vivere con i nonni per vari anni, ricorda così la propria infanzia: “Lo vedevo che si ubriacava [il nonno] e picchiava mia nonna. Non penso nessun bambino dovrebbe vedere cose del genere. E anche io ne ho prese”. 

Le tante storie personali, e spesso toccanti, che Putnam racconta sono simboliche di trasformazioni sociali di ampio respiro che hanno conseguenze di lunga durata: dalle politiche urbanistiche che fanno artificialmente salire i prezzi degli immobili in dati quartieri, segregando automaticamente chi può permettersi di risiedervi e chi no, alle vacanze scolastiche, che consentono ai ragazzi le cui famiglie possono pagare loro il campo estivo di mettersi avanti rispetto agli altri; dalla tendenza sempre più pronunciata degli americani di sposarsi con partner che appartengono allo stesso ceto, avvantaggiando i figli dei genitori più istruiti e meglio pagati a dispetto degli altri, alla sparizione delle fabbriche, che ha lasciato tanti lavoratori, in particolare uomini, senza reddito e cronicamente single, privi di quello che è stato storicamente il loro principale appeal, ovvero la capacità di mantenere degnamente una famiglia; per finire con l’ossessione di mandare tutti all’università, nonostante i costi esorbitanti e nonostante che il mercato del lavoro non garantisca poi gli stipendi necessari a ripagare i debiti incorsi per pagarsi una laurea, una vera trappola questa per i giovani meno abbienti. 

Nella narrazione di Putnam, l’interazione di questa lunga e complessa serie di fattori fa sì che gli Stati Uniti siano sempre più composti di due paesi diversi, due universi paralleli popolati l’uno dai ricchi e fortunati e l’altro dai poveri e sventurati. Con le vie di comunicazioni tra l’uno e l’altro mondo sempre più rade, la possibilità di chi nasce nel secondo di entrare in qualche modo a far parte del primo sta rapidamente svanendo. Per Putnam, si tratta di una rivelazione tragica anche a livello personale, giacché lui stesso è arrivato molto lontano pur non avendo grandi privilegi in partenza. “Ero convinto che questa fosse ancora una possibilità oggi per i figli di famiglie modeste. Ora so che non è così”. 

Our kids non presenta dati particolarmente nuovi e osservazioni rivoluzionarie. Le stesse soluzioni offerte in chiusura – da più sussidi ai genitori poveri a migliori asili nido per tutti – sono senz’altro valide, ma non sembrano all’altezza dell’enormità della sfida descritta da Putnam con tanta passione e abbondanza di dettagli. Resta comunque il suo valore di circostanziata, e devastante, diagnosi sul futuro democratico degli Stati Uniti. A meno che non si intervenga rapidamente e radicalmente per mettere perlomeno un freno alla piaga della disuguaglianza, capace di rifare i connotati a un intero Paese, famiglia per famiglia. (1-continua)

Valentina Pasquali

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